domenica 18 maggio 2008

Daniel Pennac




Quando un professore di lettere si mette a scrivere romanzi possono accadere due cose: o ci ammorba con sterili esercizi di stile (non tutti si chiamano Quenau) o
esprime il meglio di sé, cosa che in aula non gli è permesso.
Pennac rientra decisamente nella seconda categoria.
Fine ed intelligente pedagogo, raccontando storie, ci spiega cosa vuol dire “formare” i ragazzi e trasmettere la conoscenza. La trasmissione della conoscenza, in questi tempi molto “tecnici” e veloci, assume un ruolo fondamentale ed è sottovalutata.
Quando “la tribù Melaussène”, priva della TV, si ritrova unita, la sera, ad ascoltare le storie di Benjamin, ci riporta ad una “tradizione orale” ormai perduta.
Benjamin Melaussène deve mantenere uno stuolo di fratelli minori, ognuno con caratteristiche quantomeno particolari: Therese ha provate doti di veggenza, “il Piccolo” soffre di incubi, il cane Julius è epilettico…..
Di professione fa il “capro espiatorio” : geniale! L’intelligenza e la sensibilità di Ben lo inducono ad un’empatia verso il prossimo che non ha eguali.Il “nostro” viene a trovarsi sempre al centro di complicate situazioni poliziesche: bombaroli, serial killer, vecchietti drogati, maniaci di ogni genere. Per una serie di circostanze rocambolesche, da buon “capro espiatorio”, tutti gli indizi lo indicano come il colpevole. Da ciò nasce uno strano rapporto con il commissario di zona, uno “sbirro” stranamente intelligente, che, contro ogni evidenza, si convince dell’innocenza di Ben.
La famiglia Melaussène vive a Belleville, il quartiere arabo di Parigi e Ben (la cui madre è sempre in giro per il mondo con l’ultima “fiamma”) è stato “adottato” da
un gruppo di arabi che hanno un ristorante sotto casa. Il rapporto con Hadouch, Amar e gli altri ha qualcosa di “poetico” e Pennac ci offre un anacronistico esempio di “integrazione”. Ci regala uno spaccato della saggezza dell’Islam….ma questo è un altro discorso…..
Due parole meritano gli uomini del commissario Rabdomant: gli ispettori Van Thian e Pastor: il primo è Tonchinese, anziano, minuto e con una mira infallibile; l’altro è giovane, indossa dei larghi maglioni di lana su una faccia d’angelo, ed è famoso per gli interrogatori ai quali nessuno resiste: ha un metodo.
Dopo ogni interrogatorio, portato a termine con successo, Paster è “sfatto”, cadaverico e il vecchio collega gli racconta una barzelletta per “tirarlo su”.
Ed è con una di queste che termino il profilo.
“C’è un alpinista che cade, precipita, precipita. La corda si spezza e si attacca con la punta delle dita ad una piattaforma di granito coperta di ghiaccio, sotto di lui: duemila metri di vuoto. Il tipo, dopo un attimo, con una vocina sottile, domanda:” C’è nessuno?” Niente. Ripete, più forte: ”C’è qualcuno?!”
Una voce profonda sorge dal nulla: “Si, ci sono io, Dio!”
L’alpinista aspetta, col cuore che batte e le dita congelate.
La voce riprende: “Se hai fiducia in me, molla quella fottuta piattaforma. Ti mando due angeli che ti prenderanno in pieno volo!”
Il picolo alpinista riflette un attimo, poi, nel silenzio di nuovo siderale, domanda: “C’è qualcun altro?”

la prova

Apro gli occhi un istante prima che la sveglia cominci a suonare.
Sei e trenta del mattino. Cristo! Il pensiero che dovrò cominciare a farlo tutti i giorni mi schiaccia sul materasso: lo allontano saltando fuori dal letto, fin troppo rapidamente: inciampo sul comodino e la seconda bestemmia della giornata mi accompagna fino in bagno.
Prima di uscire do una sbirciata allo specchio: capelli corti, ben rasato, camicia stirata... sì, ho decisamente l’aria del bravo ragazzo. Sveglio e volenteroso.
Più che altro volenteroso.
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L’autobus è affollato, ma le tre ragazze ROM riescono ugualmente a salire; tra i passeggeri cominciano i primi borbottii e “arricciamenti di naso”.
Davanti la porta centrale, una signora, grassa e volgare, mi guarda con acida complicità:
- Potrebbero starsene a casa loro! -
Ma quale casa, se sono nomadi, IMBECILLE!
- E poi vengono qui, a sporcare e a rubare, no? -
Convinta dei suoi argomenti, mi guarda aspettando un mio assenso; io le rimando un’espressione assolutamente NEUTRA.
Prima di scendere, non soddisfatta, vuole la mia approvazione, mi ripete:
- No? -
Io la fisso a lungo; poi le rispondo un “NO” secco e scendo dall’autobus.

Sono le nove meno cinque quando entro nell’androne del vecchio palazzo, sul lungotevere. Chiedo al portinaio l’interno dello studio del Dottor Piccirilli.
L’ascensore è guasto, per fortuna lo studio è al primo piano.
- Ho un appuntamento col Dottore. -
La ragazza che mi ha aperto è alta, porta capelli lunghi e gonna corta; ha dei grossi occhiali quadrati in montatura rossa:
- Prego, si accomodi; un ATTIMINO che avviso il Dottore. - e pigia un tasto dell’interfono sulla scrivania.
Da una porta sul lungo corridoio, esce un corpulento signore che mi viene incontro sorridente:
- Marco! Che piacere rivederti! Tu non puoi ricordarti, l’ultima volta avrai avuto sei anni! -
- Ehm... già. Come sta? -
- Benone, benone! Senti, ti dispiace attendermi solo un istante? -
- Ma si figuri! -
Il tipo rientra nella stanza.
Squilla il telefono, la ragazza risponde:
- Si? Si, un ATTIMINO solo. -
E DUE!
La osservo, dietro la scrivania, e mi domando se, per le segretarie, gli occhiali siano richiesti quale requisito indispensabile per l’assunzione.
Suona l’interfono, lei si alza e, incamminandosi per il corridoio, mi sorride:
- Mi scusi un ATTIMINO. -
E TRE! Quanto reggerò?


Nel frattempo entra un ragazzo. Avrà circa ventidue anni; indossa un completo blu, camicia azzurrina e cravatta bordeaux; la ventiquattr ’ore stretta nella destra, il “cellulare” nella sinistra, (quando si dice raggiungere il proprio equilibrio...).
La segretaria, tornando, lo accoglie con un largo sorriso, (troppo largo, perfino per quella bocca); lo fa entrare nella stanza di Piccirilli.
Poi sembra ricordarsi della mia presenza:
- E’ questione di un ATTIMINO. -
E QUATTRO!
Dopo cinque minuti mi alzo:
- Senta, dica al Dottore che ripasso... -
- Ma no, aspetti... -
- No, non fa nulla. Lo richiamo io. Arrivederci. -
Sto per aprire la porta quando mi blocco, ritorno indietro, le sorrido amabilmente:
- Senta, me lo farebbe un favore personale? -
- Ma certo, dica pure. -
- Potrebbe NON dire: UN ATTIMINO?! -
Lei mi fissa stupefatta mentre guadagno l’uscita, defilandomi.
Appena in strada tiro un sospiro di sollievo.

Che dirò a papà?
Beh, quando mi chiederà spiegazioni, gli risponderò che devo pensarci...
...UN ATTIMINO.

martedì 6 maggio 2008

biografie inattendibili


Rapporti precari
appesi al telefono;
discorsi sbiaditi su
labbra incerte;
emozioni sfumate in
tiepidi contatti.
Ritratti fasulli,
biografie inattendibili!

Gli sfiorati




Al risveglio si ritrova una noce di cocco nel letto. Interamente vestito, sotto le coperte, Méte si chiede cosa sia successo, la sera prima, che abbia condotto a tali circostanze.
Una breve e veloce panoramica ci introduce i personaggi de “Gli sfiorati”, di Sandro Veronesi.
Una coppia di solerti domestici filippini; un orfano scaltro e determinato; un mastodontico, verace ed incorruttibile attore teatrale; un uomo che non conosce responsabilità né colpa. Ma, soprattutto, Belinda, bionda, bellissima e “schiumevole”.
Méte, il giovane protagonista, si muove nei salotti, nei locali e nelle strade della media borghesia romana. Inquieto, scostante e in conflitto con il padre vedovo e appena risposato, il ragazzo attraversa le giornate e, soprattutto, le notti, accompagnato da pochi amici e da un “pensiero dominante”.
Le ore notturne possono essere veramente lunghe quando sono scandite da una passione lacerante: non ci sono scappatoie né vie di fuga. Perché il nostro ragazzo, ventisettenne, studioso di grafologia, è in fuga.
Méte ha ricevuto un “regalo” dalla matrigna recentemente acquisita, come una singolare “dote” portata dalla donna al figlio dell’uomo che ha appena sposato.
Per tutta la durata del viaggio di nozze dei maturi “novelli sposi” , Belinda, la giovane figlia di Virna, andrà a stare a casa di Méte, il quale cercherà disperatamente ogni pretesto per evitare qualsiasi contatto dall’ oggetto amato.
“Basta davvero passare da un grembo all’altro per tenersi lontani dall’unico che reca tormento?”
Una passione incoffessata, una gioventù senza riferimenti, una città uterina, e last but not least, il perenne conflitto con il padre, sono gli ingredienti del romanzo scritto dal giovane autore toscano dieci anni fa e ristampato da Mondadori grazie al “premio Viareggio”, vinto anni fa da Veronesi con “La forza del passato”.
Sandro Veronesi, guadagnata la ribalta con “Venite venite B52”, riesce sempre a stupirci, intrigarci e soddisfarci. Una prosa ricca di sfumature e dettagli, che mette a nudo ogni approssimazione della realtà quotidiana, cogliendone aspetti spesso ignorati. Una scrittura “esatta”, racconti che mescolano, in giusta dose, paesaggi sociologici e complicate geometrie psicologiche.
Sempre presente, con una puntalità ossessiva, il conflitto con il padre…..ma questa è materia per gli psicanalisti.
Leggete “Gli sfiorati”, leggetelo con attenzione e scoprirete come sia sempre troppo superficiale il nostro sguardo sulle cose.




mansioni

La lancetta del serbatoio è al di sotto del “rosso”; lo faccio notare ad Alessandra, che non si preoccupa più di tanto:
- Una volta, in queste condizioni, ho fatto trenta chilometri. -
Appoggio, sconsolato, la testa al finestrino:
- See... -
Sono le nove di sera, la strada che percorriamo è costellata di distributori, ma gli unici “24 ORE” sono sull’ altra carreggiata.
Dopo un’inversione ad “U” al limite del ritiro della patente, affianchiamo la pompa di benzina.
Il ragazzo dalla pelle scura si avvicina sorridente, Ale gli porge le chiavi:
- Diecimila. -
Il tipo “armeggia” con il tappo del serbatoio: è decisamente in difficoltà:
Lo faccio notare ad Ale:
- Dici sempre che è difettoso, perché non scendi a dargli una mano? -
- Ma stai scherzando? E’ il suo lavoro! -
IL SUO LAVORO!?
Sono decisamente perplesso.
- Ma, poverino, cosa vuoi che ne sappia? -
Niente. Lei è assolutamente convinta che la cosa sia di sua competenza.
Il ragazzo riesce ad aprire, fa benzina e tenta di riavvitare il tappo che proprio non ne vuol sapere; dopo un po’ sollecito Ale a scendere per dargli una mano.
La scena è desolante: Ale forza, con rabbia, il tappo del serbatoio, la chiave è incastrata, l’extracomunitario la guarda con un sorriso imbarazzato; lei è ormai imbestialita, suda e impreca all’indirizzo del tappo.
Il ragazzo non ha dismesso quella maschera un po’ tesa e sorridente che ha dall’inizio della vicenda.
Scendo, lancio un’occhiata rassicurante al ragazzo e provo a richiudere il maledetto tappo del serbatoio: niente da fare.
Comincio ad innervosirmi anch’io; poi, Ale mi spintona via indelicatamente, infila il tappo con decisione, lo chiude e risale in auto.
Sorrido. Allungo mille lire al ragazzo di colore che le afferra come qualcosa alla quale aveva ormai rinunciato.
Lo saluto ed entro in macchina, chiedendomi come si sentirebbe, lui, in uno studio da commercialista.

Ale parte, un po' alterata:
- Non capisco come possano essere così incompetenti! E poi, perché gli hai dato la mancia? -
Il dubbio, che prima mi aveva solo sfiorato, è ormai una certezza!
Voglio solo una conferma:
- Con che cosa credi che campi? -
- Ma come?! Con lo stipendio, no? -
La fisso un lungo istante: non c’è un’ombra di incertezza in quello sguardo.
- Ma quale stipendio?! - E comincio a ridere.
- Lo stipendio che gli dà il benzinaio per stare lì la notte. -
Sto soffocando dalle risate, è troppo divertente per fermarla.:
- Il benzinaio, eh? -



- Certo. -
- E perché diavolo il benzinaio dovrebbe pagarlo? -
- Perché c’è un sacco di gente che rinuncia ad usare i self-service, perché non è capace o non ne ha voglia... -
E’ assolutamente irresistibile; sono piegato in due.
- Ma che hai tanto da ridere? -
Tra le lacrime cerco di spiegarle il reale meccanismo della faccenda.
- Ma dai, veramente? Io ho sempre creduto.... -
- Guarda che è verde. - indicandole il semaforo.
Ingrana la prima e ripartiamo.