Apro gli occhi un istante prima che la sveglia cominci a suonare.
Sei e trenta del mattino. Cristo! Il pensiero che dovrò cominciare a farlo tutti i giorni mi schiaccia sul materasso: lo allontano saltando fuori dal letto, fin troppo rapidamente: inciampo sul comodino e la seconda bestemmia della giornata mi accompagna fino in bagno.
Prima di uscire do una sbirciata allo specchio: capelli corti, ben rasato, camicia stirata... sì, ho decisamente l’aria del bravo ragazzo. Sveglio e volenteroso.
Più che altro volenteroso.
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L’autobus è affollato, ma le tre ragazze ROM riescono ugualmente a salire; tra i passeggeri cominciano i primi borbottii e “arricciamenti di naso”.
Davanti la porta centrale, una signora, grassa e volgare, mi guarda con acida complicità:
- Potrebbero starsene a casa loro! -
Ma quale casa, se sono nomadi, IMBECILLE!
- E poi vengono qui, a sporcare e a rubare, no? -
Convinta dei suoi argomenti, mi guarda aspettando un mio assenso; io le rimando un’espressione assolutamente NEUTRA.
Prima di scendere, non soddisfatta, vuole la mia approvazione, mi ripete:
- No? -
Io la fisso a lungo; poi le rispondo un “NO” secco e scendo dall’autobus.
Sono le nove meno cinque quando entro nell’androne del vecchio palazzo, sul lungotevere. Chiedo al portinaio l’interno dello studio del Dottor Piccirilli.
L’ascensore è guasto, per fortuna lo studio è al primo piano.
- Ho un appuntamento col Dottore. -
La ragazza che mi ha aperto è alta, porta capelli lunghi e gonna corta; ha dei grossi occhiali quadrati in montatura rossa:
- Prego, si accomodi; un ATTIMINO che avviso il Dottore. - e pigia un tasto dell’interfono sulla scrivania.
Da una porta sul lungo corridoio, esce un corpulento signore che mi viene incontro sorridente:
- Marco! Che piacere rivederti! Tu non puoi ricordarti, l’ultima volta avrai avuto sei anni! -
- Ehm... già. Come sta? -
- Benone, benone! Senti, ti dispiace attendermi solo un istante? -
- Ma si figuri! -
Il tipo rientra nella stanza.
Squilla il telefono, la ragazza risponde:
- Si? Si, un ATTIMINO solo. -
E DUE!
La osservo, dietro la scrivania, e mi domando se, per le segretarie, gli occhiali siano richiesti quale requisito indispensabile per l’assunzione.
Suona l’interfono, lei si alza e, incamminandosi per il corridoio, mi sorride:
- Mi scusi un ATTIMINO. -
E TRE! Quanto reggerò?
Nel frattempo entra un ragazzo. Avrà circa ventidue anni; indossa un completo blu, camicia azzurrina e cravatta bordeaux; la ventiquattr ’ore stretta nella destra, il “cellulare” nella sinistra, (quando si dice raggiungere il proprio equilibrio...).
La segretaria, tornando, lo accoglie con un largo sorriso, (troppo largo, perfino per quella bocca); lo fa entrare nella stanza di Piccirilli.
Poi sembra ricordarsi della mia presenza:
- E’ questione di un ATTIMINO. -
E QUATTRO!
Dopo cinque minuti mi alzo:
- Senta, dica al Dottore che ripasso... -
- Ma no, aspetti... -
- No, non fa nulla. Lo richiamo io. Arrivederci. -
Sto per aprire la porta quando mi blocco, ritorno indietro, le sorrido amabilmente:
- Senta, me lo farebbe un favore personale? -
- Ma certo, dica pure. -
- Potrebbe NON dire: UN ATTIMINO?! -
Lei mi fissa stupefatta mentre guadagno l’uscita, defilandomi.
Appena in strada tiro un sospiro di sollievo.
Che dirò a papà?
Beh, quando mi chiederà spiegazioni, gli risponderò che devo pensarci...
...UN ATTIMINO.
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