martedì 17 giugno 2008

Bussole inefficaci




Cos’ho imparato?
Troppe variabili per
quest’unica esistenza
priva di istruzioni per l’uso.
Carenza di aggettivi;
ore spicciole in
tasche bucate,
prospettive stanche in
cassetti polverosi.
Madonnine al fosforo,
crocifissi in peltro,
manager ipertesi,
campagne elettorali;
figure marginali nei
miei limitati orizzonti.
Argomenti diluiti di cui
si son smarrite le tracce.

Medici

La tangenziale è ormai alle nostre spalle; la strada che percorriamo è costellata di ragazzi che vendono sigarette di contrabbando. Anna mi chiede di controllare il foglietto dove si è appuntata le indicazione per raggiungere Villa Valeria, dove abbiamo (ho) appuntamento con il neurologo.
Dopo un paio di indicazioni fuorvianti, forniteci dagli indigeni, raggiungiamo la zona; ci infiliamo in un vicolo largo 50 cm più della macchina; sporgendosi dal finestrino, Anna chiede della Villa ad una signora seduta davanti ad un negozio;
la tipa esibisce un repertorio di smorfie da far impallidire Jerry Lewis, poi:
- Mai sentita, signo’! -
Dopo neanche dieci metri ci troviamo di fronte alla clinica, la scritta “Villa Valeria” è di dimensioni impressionanti.
Suoniamo al citofono.
- Ma avete un appuntamento? - la voce femminile ha un tono ostile.
- Si, con il Dottor Russo. -
- Dottore? (F.C.) Dice la signora di avere un appuntamento con lei, è vero? -
Mi chiedo se siamo in un centro diurno per handicappati, come ci avevano informato, o davanti ad una base del Pentagono.
- Va bene, entrate... - il tono ancora sospettoso.
Il “tono sospettoso” assume le sembianze di un ‘ infermiera sulla sessantina, con zoccoli bianchi e atteggiamento marziale ma gentile:
- Accomodatevi che il Dottore arriva subito. -
Nel cortile assolato transita un tipo dall ‘età indefinibile, lo sguardo vuoto, mormora una litania tra sé e sé ripetendo di continuo un gesto rituale; osservandolo, mi convinco che l ‘aver lasciato l ‘ “assistenza domiciliare” è stata una scelta saggia.
L’ infermiera ci viene incontro:
- Venite, vi accompagno dal Dottore. -

La stanza è grande, fredda, spoglia: squallida. Un tipo sui “quaranta”, radi capelli ricci,
camice sbottonato, è seduto dietro una scrivania che sembra una banco preso in prestito da un istituto tecnico industriale; quando entriamo, alza appena lo sguardo:
- Buongiorno, ha avuto difficoltà a trovare la strada? - rivolgendosi ad Anna.
- No, nessun problema, come sta? -
- Bene, grazie. -
- Beh... questo è Marco. -
La reazione del medico è inesistente. Anna esce dalla stanza.
Mi siedo mentre il tipo continua a fissarmi con occhi assenti, l’ atteggiamento finto-rilassato.
- Bene, qual ‘ è il problema? -
Cazzo! Mi vengono in mente almeno sette battute “da film” contemporaneamente, prima fra tutte: “ è lei il dottore! ”. Invece rispondo:
- L ‘ ansia. - come se fosse il sintomo la causa e la cura in una volta.
- E QUANDO è ansioso? -
Adesso senz ‘ altro, coglione!
- Mah... sempre... -
- E PERCHE’ è ansioso ? -
Ora mi alzo e me ne vado!! -
- Beh... non saprei... -

Soltanto adesso il dottore comincia a pronunciare frasi oltre una proposizione di
primo grado... e mi chiede della mia infanzia!
L ‘ uomo che mi sta di fronte è giovane, intelligente, dinamico eppure sta dicendo una serie di idiozie che pensavo sepolte con Pavlov. Sembra che gli ultimi quarant ‘ anni di ricerche psichiatriche, neurologiche e, soprattutto, psicologiche, gli siano scivolati addosso senza scalfirlo.
Provo a intromettermi dicendo che forse, la bioenergetica....
Scansa l’ argomento come un insetto fastidioso, mettendo Lowen alla stessa stregua del Vudù haitiano.
Squilla il telefono. Dev ‘ essere un collega, cominciano a parlare di AUTOMOBILI!
Lui è entusiasta di un recente acquisto, l’ ultimo modello di non so cosa!
Io non sono snob, non molto perlomeno, ma Cristo: automobili!!
Se non fosse che sono qui perché ho dei problemi reali, mi starei divertendo parecchio.
Riaggancia.
- Lei è depresso. - conclude, lapidario.
Mi consiglia un ‘ analisi Junghiana e mi prescrive degli antidepressivi.
Mi accompagna alla porta mentre Anna ci viene incontro; non vuole assolutamente essere pagato. “ e ci mancherebbe!! “ penso, mentre insisto debolmente.
- Com ‘è andata? - mi chiede Anna
- Bene. - mento io.

La farmacista legge la ricetta con attenzione, cerca tra gli scaffali, mi restituisce ricetta e una scatola verde e bianca:
- Quarantottomila. -
La Vera Medicina, l’ unica Medicina: la Medicina Ufficiale!
Quarantottomila.

Ordine costituito

Il poliziotto in borghese mi fa segno di fermarmi, agitando insensatamente la paletta.
Cazzo! Ho percorso più di trecento chilometri, di cui dieci a passo d’ uomo grazie ad un imbecille di camionista che ha rovesciato il suo TIR carico di farina,
sono ore che sto in macchina, sono stanco e affamato; pioviggina ed è buio da tempo. Ho appena passato il casello: solo venti chilometri mi separano da Casalnuovo e la DIGOS deve rompermi le palle proprio adesso; mannaggia a quando ho preso questa Uno bianca!

Il poliziotto si guarda bene dal venire subito vicino al finestrino; gira attorno alla macchina, si ferma dietro, consultandosi con il collega. Se pensa di innervosirmi
con questi stupidi giochetti, beh... ci sta riuscendo.
Alfine si decide a venire dalla mia parte. Gli dico “Buonasera”, lui mi risponde:
- Documenti. - Così, NATURALMENTE, come ci si può chiedere “come stai”;
quel “documenti” gli esce fuori che è un piacere, da attore consumato.
Che vuol dire “documenti”?, quali documenti, i miei, quelli della macchina, la licenza di pesca?
L’ ultima volta che mi hanno fermato erano due Carabinieri, in divisa; mi hanno salutato e mi hanno chiesto: - Patente e libretto, per favore. -.
E poi le barzellette le inventano su di loro!
Sono tentato di dargli il tesserino della mensa universitaria, poi penso che questa gente non ha il senso dell’ umorismo e gli allungo la patente ed il libretto.
Il poliziotto si allontana ed un istante dopo arriva il collega che mi chiede di scendere.
- Allora, Felici, dove abita? - con un buon accento napoletano.
Pronuncia quel “Felici” con soddisfazione voluttuaria, per farmi capire di quale preziosa INFORMAZIONE sia venuto a conoscenza così rapidamente.
- Mi sono trasferito da poco; ad Assisi. -
- Si ma dove ABITA? -
Cristo santo!!
- Sono di Roma, ma da un paio di mesi mi sono trasferito ad Assisi. -
Nel frattempo l’ altro poliziotto sta dando uno sguardo ai miei bagagli, gettati nel sedile posteriore, un po’ alla rinfusa.
- Professione? -
Diavolo d’un uomo! Se gli dico che sono disoccupato andremmo avanti con questa brillante conversazione tutta la notte.
- Studente. -
- Studente? - con un’ espressione stavolta indecifrabile.
Si avvicina il collega e mi chiede di aprire il portabagagli.
E’ finita! Ancora devo levare dei libri e l’ argenteria che sono lì dal trasloco.
Mentre apro il portellone penso a cosa succederà una volta che i due poliziotti
vedranno quei sacchetti neri della spazzatura buttati lì.
Trattengo il fiato, aspettandomi reazioni scomposte e battute demenziali; invece
nulla: i due tutori dell’ “ordine costituito” (chi l’avrà costituito, poi, quest’ ordine? ) si limitano a dare un’ occhiata e dirmi di aprire i sacchetti, cosa che non faccio assolutamente spiegando loro che si tratta di roba vecchia che non so dove mettere nella casa nuova.
Il primo poliziotto mi restituisce la patente, (naturalmente, fuori dalla custodia), e
mi saluta.
Salgo in macchina mentre la pioggia si infittisce, parto e, con le ultime gocce di energia rimastemi, mi concentro sulle indicazioni in “blu” per Casalnuovo, cercando di non pensare al fatto che, alla nostra sicurezza, sono preposti simili SOGGETTI.

lunedì 9 giugno 2008

Ambiguità

- Possibile che con te non si possa mai fare un discorso serio? -
Ridacchiando, getto un’ occhiata al bicchiere della mia Harp strong, dimezzato; mi schernisco:
- Ma non è vero, Sandra, tu ed io non abbiamo avuto molte occasioni per parlare, così, a quattr’ occhi, e poi, con questo casino, che discorsi seri vuoi fare? -
Il pub, effettivamente, è affollato: militari rumorosamente in cerca di compagnia, Inglesine con la stessa intenzione, ma più discrete, Irlandesi ubriachi lerci.
- Guarda che sei stato tu a dirmi “ ti porto in un pub carinissimo dove spillano la birra più buona di Roma “ -
- Ma infatti. Perché, non ti piace questa birra? - non riesco a non ridere.
- Stupido! Ecco, lo vedi? -
- D’ accordo, d’ accordo. Parliamo seriamente. Parlami di te. - trattenendo a stento il riso con i denti.
Lei comincia a parlare, intermezzando disavventure sentimentali a lunghe sorsate di birra.
Io mi accendo una sigaretta, distratto.
Va bene che a Roma non c’é quasi più nessuno, che alla TV non c’ era un film accettabile, che avevo una sete impellente, ma proprio questa idiota dovevo chiamare? Che caspita ci faccio io, qui, adesso?
E mi chiede pure di essere serio!
Beh, ormai la cazzata l’ ho fatta, stiamo al gioco.
Sandra continua a parlare, la voce sempre più “strascicata”, le pause sempre più lunghe; poi, con un’ espressione maliziosa:
- Però, lo sai che non è affatto male, questa birra! - e giù a ridere a crepapelle,
così, all’ improvviso; come davanti ad una smorfia di Toto’.
Io mi guardo intorno, un po' imbarazzato.
- Ehi, tutto bene? - avvicinandomi.
- Si si. Sai, avevi ragione, questa birra è proprio ... - e giù un’ altra risata.
Solo adesso mi accorgo che della sua “media doppio malto” non ne è rimasto che un dito.
- Va bene, adesso andiamo, su... - aiutandola ad alzarsi.
- Si andiamo... - con gli occhi lucidi e ammiccanti: - Guidi tu? -
Puoi giurarci!
- Si, non preoccuparti. - Devo sorreggerla per quanto barcolla.
Lasciamo il locale tra mille occhi divertiti.

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- Senti, ma tu mi trovi ambigua? -
L’ auto è parcheggiata in una viuzza tranquilla, al riparo da sguardi indiscreti.
Sandra sembra aver smaltito la sbornia.
- Ambigua? -
- Si, mi trovi un tipo ambiguo, che so, negli atteggiamenti, o... -
Meglio sbronza: se non altro aveva l’ alibi di uno stato di coscienza alterato; ma come fa ad infilare tante idiozie una dietro l’ altra?!
- Qualcuno ti ha detto che hai degli atteggiamenti ambigui? -
- Si, il dentista. -
Il dentista?!
- Il tuo dentista? -
- Si; durante una seduta, qualche giorno fa. -
Durante una seduta?!
Ma quanto può essere ambiguo, un premolare?!
- Sai, ha cominciato ha fare strani discorsi, su certi miei atteggiamenti... -
Terrificante! Davanti a delle ganasce spalancate, con il gorgoglio del tubicino che risucchiava saliva, gengive sanguinanti, quell’ uomo riusciva a pensare agli “atteggiamenti ambigui” di questa cretina!
Un eroe!
Lei continua a raccontare, ( annichilendo Stephen King ), mentre, con una mossa ben studiata, ruota su se stessa, appoggiando la schiena allo sportello, mettendomisi di fronte, alzando appena la gonna, già corta.
Il mio disagio è ormai evidente.
- Ma cos’ hai, sei nervoso? -
- No, sai, i dentisti mi mettono sempre in agitazione... -
- Su, piantala... vieni qui. - mi prende per le spalle e, con agilità sorprendente
allarga le gambe, mi adagia sul sedile e comincia a massaggiarmi il collo.
- Dio quanto sei teso! -

Altro che teso! La situazione è ad un punto di non ritorno e io, che oltretutto non sono più neanche brillo, non ho nessuna intenzione di arrivare al solito, naturale epilogo di ogni circostanza simile.
Capisco che devo dare fondo a tutte le mie risorse; torno a sedere al mio posto, la guardo tenero e serissimo:
- Sandra, ti ho mai raccontato quello che mi è successo a Beirut? -
- Beirut?! Quando sei stato a Beirut? -
- Nel momento peggiore... - qui mancava solo un “baby” alla fine ed era perfetto.
- Sai, tra l’ ottantadue e l’ ottantaquattro sceglievano alcuni militari di leva,
a caso, e li mandavano in Libano. -
Ma che sto dicendo, questa non sa neanche dove sia, il Libano.
- Nel Libano a fare che? -
E infatti! Ma con chi diavolo sono uscito, con una ragazzina di “non è la rai” ?
Cerco di mantenermi calmo.
- Senti, hai presente la Bosnia? -
- Certo! Dove credi che viva, sulla luna? -
Ora la picchio!!
- Beh, stessa cosa: dieci anni fa, nel Libano c’ era lo stesso casino; a dire la
verità il casino c’ è ancora, ma tra i giornalisti è passato di moda.
Comunque: il nostro Governo decise di mandare un contingente di pace;
così sono partito anch’ io: tre mesi a Beirut ... - lo sguardo perso nei ricordi:
- ... e lì c’ era la guerra, quella vera! - Bogart sarebbe fiero di me.
- Davvero?! -
Presa! Ormai nulla potrebbe distrarla o farla dubitare del racconto.
Libero ogni freno:
- Beh, è chiaro che non eravamo in prima linea; siamo andati come supporto
ai “caschi blu”, te l’ ho detto; comunque, le bombe ti assicuro che le sentivamo.
Un giorno... un brutto giorno eravamo in perlustrazione, un po’ distanti dal
Campo; io mi sono allontanato per qualche metro e ad un tratto...
... l’ esplosione! Il proiettile del mortaio sarà caduto ad una decina di metri; ricordo solo un fischio, un bagliore accecante... poi il buio. -
Sandra sta trattenendo il fiato, non riesce più neanche a fare domande.
Così posso continuare, serissimo:
- Ho perso conoscenza per un paio d’ ore. All’ ospedale del Campo, i medici
mi hanno visitato a lungo, hanno fatto tutti i controlli possibili: nulla; non mi
sono fatto neanche un graffio. -
- Fiuuu... meno male... - riesce a sussurrare.
- Aspetta a dirlo... - qualche secondo di suspense è d’ obbligo.
- Quando sono tornato, finito il militare, mi sono fatto visitare dal mio medico:
era tutto normale... tutto tranne... -
- Cosa?! Dài, non tenermi così! Cosa!? -
- Beh sai, all’ inizio pensavo fosse ancora lo shoc, ma dopo qualche mese ho
cominciato a preoccuparmi... -
- Piantala! Vuoi dirmi che cos’ hai? -
Un profondo sospiro, le sfodero il mio sguardo più vittimistico, e:
- Da allora non riesco più ad avere un’ erezione! -
- Oddio! - e si copre il viso con le mani.
Ho un istante di rimorso; forse ho esagerato... no! Se lo merita!

Lei mi sta guardando, amorevolmente imbarazzata:
- Mi dispiace, mi dispiace veramente; non pensavo... -
- Che vuoi farci. Ho provato di tutto, farmaci, psicoterapia... niente, non
c’è niente da fare.
Comunque, poco tempo fa, mi sono rivolto ad un bravissimo neurologo che
mi ha dato qualche speranza; sto facendo una terapia... vedremo.
Senti Sandra, mi accompagneresti a casa? -
- Certo, tesoro. -
Mette in moto e partiamo.

Le etichette delle camicie



“Scrivo stupidaggini perché non voglio lasciare un segno, voglio essere dimenticato.”
“Allora perché NON scrivi e basta?”

“Beh, non così TANTO dimenticato!”
Il nome di Tiziano Sclavi viene sempre associato a Dylan Dog e giustamente. L’ingresso dell’”indagatore dell' incubo” nel mondo dei fumetti è stato travolgente; un macigno in uno stagno. Quanto di più innovativo ci sia stato negli ultimi vent’anni, nei contenuti e nei codici.
Ma l’Autore ha scritto anche alcuni romanzi, sempre sul genere noir-horror. Tutti tranne questo.
Attorno alla redazione di una casa editrice di fumetti si intrecciano le storie, i piccoli episodi quotidiani dei protagonisti.
Leit motiv del romanzo il dialogo che si svolge in una trattoria tra uno di loro e la ragazza appena conosciuta. Lui è brillante e nevrotico, un po’ ansioso, lei, carina e accogliente. L’atmosfera è comunque idilliaca.
Parallelamente, vediamo spezzoni di vita, sentimentale e non, degli altri “fumettari” Ognuno con le proprie idiosincrasie, le depressioni e le gioie tipiche degli “over 30”. In sottofondo: la solitudine, o, meglio, la paura della solitudine che li accompagna.
Ciò che li accomuna è uno stato diffuso di insoddisfazione e, soprattutto, insofferenza verso la stupidità, la banalità, la volgarità che li (ci) circonda. E di volgarità e stupidità, in questo periodo
ce n’è ovunque a iosa.
Tommaso è indietro di alcune “tavole” che non ha alcuna voglia di fare; ogni tanto si affaccia in redazione giusto per assicurarsi di avere ancora un lavoro e lamentarsi coi colleghi, che a loro volta colgono l’occasione per lamentarsi con lui. Non ha una ragazza e ne soffre.
Cohan riceve una telefonata da un’ammiratrice che sta scrivendo una tesi su di lui. Finge di schernirsi ma alla fine la invita a casa per “un’intervista”. I due finiranno col mettersi insieme.
Nella trattoria, tra spaghetti aglio e olio e pappardelle al sugo di lepre, la conversazione scivola via, ironica e confidenziale. Lui accenna alle proprie crisi depressive:
“……Questi sbalzi di umore. Andavo su e giù ad una velocità incredibile. Ero una montagna russa.”
“ E adesso?….”
“ Bah, forse un po’ meno. Una montagna polacca.”
……E così via…..
“ Tiziano Sclavi, questa volta, ha spento gli incubi per accendere i sogni.”

Spot



Anime stipate nel quotidiano,
emozioni tangenti alla routine,
fantasie disorientate dalla macrobiotica,
sensazioni diluite in lattine di Coca.

Siamo cellule a lunga conservazione,
aspettando lo sponsor,
pronti per il lettore ottico!

... morire d’Occidente...
o di cortisonici.