lunedì 28 aprile 2008

Testamento



Ora che sogni e memorie
sono appese allo stesso,
sottilissimo filo;
ora che alba e crepuscolo
si alternano, indefiniti,
con lo stesso chiarore;
ora che gioia e dolore
danzano, avvinti, in
un’unica anima tollerante;
ora che passione e accidia
giacciono, gemelle, nella
stessa, gelida tomba,

ORA, VI PREGO,

lasciatemi a questa lenta eutanasia,
inebriata da note jazz,
addolcita da dotta letteratura,
confusa tra fugaci baldacchini.

Vi lascio IL NULLA che
già tutti possedete.

Venticinque minuti

La Camel che stringo tra le dita si va consumando lentamente, mentre alla TV, due imbecilli, seduti in una trattoria, scoprono di avere gli stessi gusti in fatto di acqua minerale: a lui piace frizzante, a lei, naturale: come la Gioconda.
Squilla il telefono:
-Pronto Marco? - La “R” dura, “francese”, di Cristiano, mi risolleva un po’ il morale:
- Ciao! -
- Senti, ho una proposta per stasera: un teatro, venticinque minuti. -
- Venticinque minuti? -
- Si; uno spettacolo di venticinque minuti! -
- E di che si tratta? -
- Ma... non lo so, veramente... -
- Come non lo sai, Criss?! -
- Ma che ti frega, dura solo venticinque minuti; è questo il bello! -
- Hai ragione: venticinque minuti si “reggono”, qualunque stronzata sia. -
- D’accordo allora: alle dieci esatte; dalle dieci alle dieci e venticinque. Ciao. -

La stradina è buia, vicino S.Pietro, l’ingresso del teatro, ancora più buio. Entriamo.
Sono le 22:05 : ci affrettiamo, preoccupati di aver perso ben un quinto dell’intero spettacolo. Ci accolgono due ragazzi dall’aria “alternativa”.
- E’ già cominciato? - chiede Criss, un po’ansioso.
I due si guardano, perplessi:
- No. Veramente siete i primi. -
Lancio a Criss un’occhiata eloquente.
Loro staccano due biglietti, riservandosi di rimborsarci qualora lo spettacolo non dovesse andare in scena.
Noi non ci perdiamo d’animo, prendiamo il programma ed entriamo nella minuscola sala.
- Se entro cinque minuti non arriva nessuno, ce ne andiamo. -
- D’accordo. -
Nel frattempo, alle nostre spalle, entra un tipo: con fare circospetto va a sedersi in prima fila, sulla destra.
Un attimo dopo arriva una giovane coppia; il tipo in prima fila si volta e li saluta cordialmente, mentre i due lo raggiungono.
Cinque persone in sala. Bene.
Il ragazzo del botteghino si affaccia e ci fa un cenno per dire: “tutto a posto.”
Lo spettacolo non è male: le “schermaglie” amorose di due giovani, nella Venezia settecentesca. In dialetto, ovviamente. Però comprensibile.
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Ci incamminiamo verso la birreria dove ci attende Alessandra.
- Lunedì si avvicina, eh? -
- Non mi ci far pensare, ho attacchi d’ansia ogni mezz’ora! -
- Sta’ tranquillo, sarà una stronzata, vedrai; e poi, non è un amico di tuo padre?
- Si, però... -
- E comunque, all’inizio, qualsiasi cosa ti serva.... -
- Lo so, lo so: grazie: -
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La birreria è semivuota, Alessandra ci fa un cenno con la mano.
Tra una Guinnes e l’altra, facciamo l’una.
Usciamo. Via della Conciliazione è deserta.
All’ improvviso, un ragazzo - calzoncini corti a fiori, borraccia e macchina fotografica appese al collo - sbucato da non si sa dove, ci si para davanti.
- Parlez vous francais? -
Ci guardiamo interdetti: Criss sta “rispolverando” il suo inglese, io ho dimenticato il mio ed Ale ha abbandonato il francese da tempo.
Il ragazzo ci chiede una sigaretta, col classico gesto universale; poi, tra frammenti di inglese di Criss e varie mimiche facciali, crediamo di capire che desidera andare in Vaticano.
- Vatican? -
- Yes! -
Non c’è alcun dubbio: non gli basta vedere S.Pietro, ben illuminata, con le fontanelle zampillanti, vuole proprio entrare in Vaticano.
Criss gli fa presente che è l’una di notte e ci sono due grossi Svizzerotti, con tanto di elmo ed alabarda, che non hanno un gran senso dell ’humour.
Il Francese ci guarda perplesso, evidentemente non capisce il perché di tanto “fiscalismo”. Io mi avvicino, tentando di fiutare tracce d’alcool nel suo alito, mentre questi estrae dalla borsa uno spray: - Ma io ho questa! - (in francese, naturalmente.).
Criss e Ale sono sempre più confusi; a me basta una rapida occhiata per capire che si tratta di una di quelle bombolette spray anti-aggressione, tanto in voga in Francia ma assolutamente illegali da noi.
- Oh, - sorride il ragazzo - it’s a joke... -
Nel frattempo sentiamo delle urla: tre ragazzini corrono verso di noi. Affannata e con forte accento americano, la più grandicella si rivolge ad Ale: - Do you speak English?- Gli Americani sono famosi per capacità di centrare i bersagli!
- No. Parla con loro! - ribatte Ale, indicando noi; mentre gli altri due continuano a chiamare:




- Alvin! Alvin!... - correndo intorno, la ragazzina ci spiega che hanno perso un loro amico: grasso e con gli occhiali (i gesti sono inequivocabili). Il Francese è ancora lì con il suo spray. E’ troppo! Salutiamo la piccola folla e guadagniamo la macchina.

Dopo aver transitato per vari “sensi unici”, ripassiamo per Via della Conciliazione:
i ragazzini americani sono ancora lì che corrono tra una viuzza e l’altra.
Mi sporgo dal finestrino:
- Did you find him?! -
- No! - mi gridano di rimando.
- Beh, - rimettendomi comodamente a sedere - cercatelo meglio... -

- Alvin!... Alvin!... -

giovedì 24 aprile 2008

Dylan Thomas





Il maggior poeta del secolo appena trascorso. Un genio indiscusso, indiscutibile.
Quando si dice che i libri vengono scritti col sangue....beh, leggendo le poesie di Thomas ci rendiamo conto della portata di tale affermazione.
L’ultimo dei “maledetti”, Dylan mette nei suoi versi tutta la forza, la passione, la disperazione dell’individuo che non si ritrova nel tempo in cui vive, un outsider che esprime tutto il disagio di un’epoca assolutamente folle.
Nasce nel Galles, il 27 Ottobre 1914 figlio di un insegnante di inglese.
La sua migliore produzione e più feconda produzione è quella che vede la luce tra il 1930 ed il 1934 (tra i 16 e i 19 anni).
Dopo alcune brevi sortite nel giornalismo, nella critica letteraria e nel teatro, il giovane Autore si dedica interamente alla poesia.
Nel 1934 si trasferisce a Londra, vivendo da bohémien con una predisposizione all’alcool (ancora devo conoscere un bravo poeta astemio) che lo porterà alla tomba giovanissimo.
La situazione economica è grave, Dylan vive solo della sua poesia e, si sa, con la poesia lo stomaco non si riempie.
Lavora come sceneggiatore di documentari; nasce la seconda figlia e i soldi non bastano mai.
Viene aperta una sottoscrizione a suo favore da parte dei magiori scrittori e artisti inglesi.
E’ invitato negli Stati Uniti a tenere un ciclo di letture delle sue poesie.
Al contrario di molti suoi colleghi, Dylan ottiene la fama già da vivo: Collected Poems ottiene un successo straordinario e lui diventa il poeta alla moda, coccolato nei salotti e conteso dai colleges.
Ormai, però, il suo alcolismo è cronico e il Poeta passa gran parte del tempo nei bar in compagnia di conoscenti occasionali.
Muore di delirio tremens il 9 novembre 1953.
Nella “bianca” dell’Einaudi potete trovare “Poesie inedite” e “Poesie”

evaso






Braccato da minuti
esigenti,
assediato da ricordi
danzanti,
schivando doveri
sociali,
fugando paure
tribali,
sopporto figure
banali,
sorbisco sostanze
letali.

Anima inquieta in
libertà vigilata.

mercoledì 23 aprile 2008

William Gibson




Al signor William Gibson dobbiamo tutti qualcosa.
Esistono autori che scrivono bei libri, alcuni che ci hanno dato capolavori, con personaggi entrati nel lessico quotidiano, a distanza di secoli. Poi ci sono alcuni che inventano, letteralmente, “mondi”, con regole proprie, personaggi propri, atmosfere proprie.
A Gibson dobbiamo termini quali cyberspazio, hacker, rete, microsoft (ebbene si!).
In un periodo in cui la fantascienza languiva, proponendoci logori duelli tra grandi astronavi, Imperi in procinto di crollare (al momento giusto), alieni insettiformi, ecco apparire “Neuromante”……e tutto cambia!
Niente alieni né viaggi interstellari. La vera guerra si combatte qui, sul nostro pianeta, in un futuro prossimo. L’arma, micidiale, che ci ritroviamo tutti tra le mani, è il PC, il campo di battaglia, la Rete.
Gli eroi di turno sono gli hackers, pirati informatici giovani, veloci, brillanti “cowboys” della consolle che riescono a violare qualsiasi database.
I “cattivi” vengono rappresentati dalle multinazionali con le loro agguerrite difese elettroniche.
I.C.E. sta per Intrusion Countermeasure Electronics ed è il peggior nemico dei cowboys.
Tra pochi anni collegarsi in Rete sarà un’esperienza omnisensoriale. Con un paio di cavetti da attaccarsi alle tempie saremo dentro di essa, nell’enorme flusso di informazioni, con tutto il nostro essere. Realtà Virtuale dunque, anche se tutto ciò che succede nel cyberspazio avrà effetti Reali nel fisico. Un ice può letteralmente bruciare il cervello dell’intruso.
Il mondo sarà diviso tra chi possiede informazioni e chi no. La merce più preziosa (ma a questo punto già ci siamo arrivati) è, appunto, l’ Informazione.
Gli eroi di Gibson sono mercenari al soldo ora dell’una ora dell’altra Compagnia, a seconda delle necessità. A volta il committente è la Yakuza, la potente mafia giapponese.
Quando non è collegato in Rete, il nostro cowboy è depresso e si muove in “agglomerati” metropolitani, dove l’atmosfera è sempre un po’ cupa, umida di smog, alla “Blade Runner”. Passa le serate in fumosi pub dove si ritrovano i “veterani” e si possono scoltare le loro incredibili imprese, alcune leggendarie.
In realtà Gibson non sta “inventando” proprio nulla, ma sta “semplicemente accelerando la linea di sviluppo del nostro presente, non riconoscendolo più come tale ma come passato prossimo”
Secondo Marshall McLuhan è il modo di comunicare che determina i cambiamenti epocali. La definizione “post industriale” non è più soddisfacente, ormai siamo entrati nell’era informatica e Gibson ne è il “cantore” più autorevole.
Tra entusiasti ed acritici apologeti come Nicolas Negrophonte e Cassandre apocalittiche come
Neil Postman, il “nostro” è un sereno osservatore che ci dice: “Signori, questo è ciò che ci aspetta, prendetene atto e preparate le contromosse.”.
William Gibson è nato nel 1948 e vive a Vancouver.
Il suo primo romanzo “Neuromante” è il manifesto cyberpunk, ha vinto il premio Hugo e Nebula, pubblicato dalla “Nord”.
Nella Mondadori potete trovare la raccolta di racconti ”La notte che bruciammo Chrome” (da Johnny Mnemonic è stato tratto un film).
“Giù nel cyberspazio” , “Monna Lisa Cyberpunk”, “Luce virtuale”, “Idoru” e l’ultimo “American Acropolis”.

martedì 22 aprile 2008

Lettere a un giovane poeta


La tentazione (forte, peraltro) è quella di dire: leggetelo, punto e basta. Ma temo che il mio webmaster non sarebbe d’accordo. Quindi, con un certo imbarazzo, spenderò due parole su di un classico intramontabile.
Scrivere è una necessità, intima, insopprimibile.
Si possono spiegare ( e apprendere) grammatica e sintassi, ma non è possibile trasmettere un bisogno, una passione.
Il giovane Franz Xavier Kappus, alle prime armi con la penna, chiede consigli al grande Rainer Maria Rilke e gli sottopone i suoi primi lavori.
Il poeta, con un’umiltà sconosciuta ai più, comincia un carteggio con il ragazzo e la poesia diventa un punto di partenza per alcune semplici quanto essenziali considerazioni sull’esistenza.
Rilke, con un linguaggio semplice e diretto, vola alto: -….Sforzatevi di amare i vostri stessi problemi….Non cercate per il momento delle risposte, che non possono esservi date, perché non sapreste metterle in pratica, “viverle”. E, precisamente, si tratta di vivere tutto. –
Uno scrittore deve comprendere le proprie necessità di scrittura e, in base a queste, affinare i propri mezzi espressivi, con molta pazienza e prudenza, senza fretta.
Deve ascoltare il proprio mondo, lasciarlo parlare a lungo prima di arrischiarsi a raccontarlo.
L’Auture non si risparmia, parla al giovane con sincerità e senza affettazione. Questo è ciò che pensa della critica e dell’estetica: “Sono prodotti di spiriti faziosi, pietrificati, privi di senso nella loro rigidezza senza vita, oppure abili giochi di parole.”
Scrivere è davvero difficile: si ha davanti il mondo, il linguaggio e sé stessi. Ognuno di questi elementi è regolato da norme proprie e si tratta di trovare il modo di raccontare una storia che ha, a sua volta, regole proprie. Si tratta di far andare a nozze il mondo, sé stessi e il linguaggio per trovare una sola regola che si esprime nel racconto.

Buk


Charles Bukowski

Cosa non si è detto di Charles Bukowski? Tutto ed il suo contrario.
Leggo da una quarta di copertina:”Pubblicò giovanissimo il suo primo racconto, ma fu talmente amareggiato dall’infinita serie di rifiuti che seguirono da divenire alcolista.”
Assurdo! Buk beveva perché gli piaceva. Se mai è esistito qualcuno che se ne sia sempre veramente fregato dei giochini e delle mafiette editoriali, questo era lui.
Un vero outsider, coerente con sé stesso, lui scriveva “di” come viveva, semplicemente. Non ha mai ostentato nessun atteggiamento “bohemienne”, al contrario di tanti altri.
Non a caso, quando si parla di “beat generation”, il suo nome non compare mai.
E giustamente.
Senza nulla togliere ai grandi Keruack, Ginsberg, Ferlighetti etc., Bukowski era semplicemente un uomo che lottava ogni giorno per la sopravvivenza, tra bar malfamati e stanze di quart’ordine in affitto.
Scrivere della VITA, la vita REALE, gli veniva facile, per sua stessa ammissione
Ho amato Henry Chinaski ( lo pseudonimo di ogni racconto).
Ho amato lo scrittore, così autentico, nelle descrizioni, così “nudo e crudo”.
Ho amato un UOMO con un’anima immensa, di una sensibilità oltre ogni confine.
E’ stato tacciato di misoginia. Il solito equivoco di qualche critico impotente, o di qualche femminista analfabeta.
Lui AMAVA le donne come pochissimi uomini sanno fare. Le amava con dedizione e trasporto, con la passione che lo ha sempre contraddistinto; una passione tanto più VERA perché “fisica”.
E’ stato detto del suo scarso impegno politico-sociale.
Tutta la sua opera è centrata sugli emarginati, quelli reali; i tanti, troppi clochards che si barcamenano nelle metropoli. Lui ERA uno di loro e con loro condivideva difficoltà, sofferenza, emarginazione. Più di una volta si è lasciato andare a considerazioni sulla “condizione del genere umano” e, da buon individualista, ne ha tratto le logiche conseguenze: nessun “riscatto collettivo”, uno “status quo” solido e ben difeso, l’umana idiozia al fondo di tutto.
C.B. nacque ad Andernach (Germania) nel 1920, ci rimase fino all’età di tre anni, poi l’America.
“Storie di ordinaria follia”, “Compagno di sbronze”, “Taccuino di un vecchio porco”,
“Musica per organi caldi”, “Panino al prosciutto”, sono alcune raccolte di racconti che hanno scandalizzato tanti ed entusiasmato moltissimi, soprattutto in Europa.
“Post office”, “Factotum”, “Donne”, alcuni dei romanzi.
Da segnalare “Hollywood”, nel quale Buk “…non parla di sesso ed è pacificato, ma non per questo è meno abrasivo nel suo orrore per l’ingiustizia e la violenza…..” parole di fernanda Pivano alla quale dobbiamo la “scoperta italiana” del grande scrittore.
A tutto ciò vanno aggiunte le numerosissime raccolte di poesie.
Bukowski è morto nel marzo del 1994.

Dolori sbiaditi




Vecchie storie all’imbrunire;
intuizioni naïf mi sorprendono in
canottiera col detersivo esaurito;
flirtando col telecomando
schivo pensieri logoranti;
concetti ammuffiti e
logiche altezzose oltraggiate da
questo vino indisciplinato.
Figure dozzinali mi lusingano da
ricordi inattendibili.

Ed eccoli, finalmente!
Verdi e curiosi,
ridenti e assetati,
vicini e perplessi,
gli unici occhi in cui possa cullarmi.

L' Olandese e Schopenhauer

L’ Olandese e Schopenhauer

Il monumento è tetro. Nonostante sia ben illuminato, trasmette una sensazione angosciosa, però i gradini non sono sporchi, c’ è poca gente nei paraggi ed il vino è ancora fresco.
Stappiamo la seconda bottiglia.
- Questo è un Pinot di Pinot. - annuncia, trionfante, Federico.
- Ottimo. - replico dopo una lunga sorsata. Passo la bottiglia a Marina.
L’ alcool accelera l ’euforia che mi attraversa le vene; sembriamo usciti da un racconto di Bukowski; lancio un’occhiata ad Antonella: pelliccetta bianca, gonnellina nera, tacchi a spillo... fa niente, lei neanche sa chi sia, C.B.; in compenso mi strappa la bottiglia di mano e tracanna un lungo sorso.
Marina la guarda preoccupata:
- Ti ricordi, vero, di essere astemia? -
- Per stasera farò un’eccezione! - tutta contenta, le gote già arrossate.
- Dobbiamo festeggiare la tua prossima assunzione! - sorridendomi.
- Ma quale assunzione, Antone’! -
Marina insiste:
- Ripensa a quelle rare volte che hai bevuto. -
Federico, al contrario, la incoraggia:
- Dai, che questo l ’ho trafugato dalla cantina di mio padre! - Probabilmente spera di allentarne le “difese”.
Lancio un’occhiata complice a Marina, che mi restituisce un sorriso malizioso.
Antonella comincia a ridacchiare; è difficile rintracciare il senso di quello che dice, perso tra le bollicine del “Pinot”.
La tentazione è veramente forte; mentre Federico prova affettuosi “approcci”, Marina ed io la incalziamo:
- Perché non ci racconti di quella volta che ti sei giocata a carte un ragazzo? -
Il sorriso di Federico è attraversato da una sottile tensione.
Antonella lancia un ‘ occhiata di traverso:
- Marina, glielo hai raccontato tu, vero? - fingendo di rimproverarla.
- Perché, invece, non gli hai detto dell’Olandese? -
- Di chi? - Sardonica, Marina chiede conferma.
- Ma si, non ti ricordi? Come si chiamava... Peter ... Soren...boh... comunque era bellissimo. - e giù un altro sorso. - ... si, stupendo. -
Il sorriso di Federico si fa sempre più “stretto”.
- Ma dai, raccontaci di quel tipo che ti sei giocata a carte! - la incito di nuovo.
- No, non è interessante. L’Olandese, piuttosto; ti ricordi Mari’: bello come il sole e anche colto; gli piaceva la musica classica. -
M’illumino! Marina mi ha già raccontato l’episodio: non me lo perderei per nulla al mondo:
- Ah, gli piaceva la musica classica, eh, e allora? -
Lei comincia a sghignazzare. Marina, infida e spietata, tace e aspetta.
- ...e così ci siamo ritrovati a parlare di musica; io non ci capisco molto, di musica classica, poi; però non potevo sfigurare: quando lui mi chiesto quali autori preferissi ho avuto un attimo di panico, poi mi sono ripresa, gli ho sfoderato un bel sorriso e: “Dunque, Beethoven, Mozart, e...Schopenhauer.” - e comincia a ridere a crepapelle.
Marina mi guarda, soddisfatta; io sono piegato sui gradini a tenermi la pancia; Federico ha una risatina di circostanza.





Antonella continua:
- Ed ero convinta, eh. Poi siamo tornate a casa, ci siamo messe a letto;
dopo un attimo riaccendo la luce sul comodino:
“A Mari’, ma chi era Schopenhauer?” -

comunicazione




- D’accordo, ciao papà. - riaggancio la cornetta.
Compongo un altro un numero.
Il barista continua a lanciarmi brevi ed ostili occhiate, mentre Marina mi sta dicendo che non riesce ad uscire di casa.
- Chiama i vigili del fuoco, oppure forza la serratura. -
- Si, scherza, scherza... E’ inutile non ci riesco! E’ già mezzogiorno e sono qui che devo ancora lavarmi i capelli, e sono senza shampoo, e... -
- Senti Marina, questa conversazione mi sembra senza sbocco. -
- Hai ragione. - E riaggancia.
Fisso la cornetta, perplesso; a volte è strana; io le voglio bene, ma certe volte questa donna è veramente strana.
Esco dal bar e vengo aggredito da un vento freddo; freddo ma secco. Mi piace.
Adoro questo clima, è una giornata fantastica: limpida come solo le giornate di fine Gennaio sanno esserlo.
E comunque sono incazzato. Senza motivo. Una rabbia assoluta, pura, cristallina come questa luce di mezzogiorno.
Penso che magari potrei andare a trovarla. le compro lo shampoo, sfondo la porta... a lei basta poco per essere contenta; no, troppo vento per arrivare fin là; inoltre la mia rabbia e la sua pseudo-depressione non raggiungerebbero nessun tipo di accordo.








Antonella mi sta dicendo che fra un’ora Federico ed il fratello saranno qui a prendere i mobili.
- Tutti e due!? Ma non posso, ti ho detto che avresti dovuto avvisarmi, per quell ’altro! -
- Ma io, il furgone, ce l’ho solo per oggi! Solo per oggi, capisci? Dopo non potrò più,
mai più! -
- Dai, non essere così definitiva... -
Definitivo. Mi piace. Penso che dovrei cominciare ad usarlo più spesso, quest ’aggettivo.
Continuo a ripetermelo, pronunciandolo internamente: DE-FI-NI-TI-VO. Bello. E’ efficace, fluido; le sillabe scorrono fuori che è un piacere. Definitivo.
Fa molto “minimalista”.
Intanto Antonella sta continuando a parlare; “rientro” in quello che mi sta dicendo, anche se lo so già: mi ripete le stesse cose da oltre dieci minuti, ormai.
- Ma perché sei così definitiva? - le ripeto solo per assaporarne ancora il suono.
Sono soddisfatto; ormai non seguo più la conversazione, penso a come l’aver usato un termine così delizioso possa avermi, di colpo, risollevato il morale.

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Richiamo Marina.
Lei riprende a parlare come se non si fosse mai interrotta; semplicemente PROSEGUE:
- ... cazzo, è saltata la lampadina! -
- Che lampadina? -




- ... mi capita sempre così, ci credi? Da un momento all’altro TUMP! e le lampadine si fulminano; è successa la stessa cosa con quella dei faretti... questa però la ricompro... -
- Cosa vuol dire, che sei... -
- ... al buio. Sono completamente al buio, ormai. Senti, non è che ti trovi a passare da un elettricista? -
- No! - E riaggancio con violenza.
Scuoto la testa: non è possibile...non è possibile...

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Richiamo papà:
- Ciao. -
- Oh, ciao. Allora: è per Lunedì, alle nove. -
- Va bene. -
- Mi raccomando, è un mio caro amico e non dovrebbero esserci problemi; comunque, anche se è un colloquio informale, tu fatti vedere sveglio e volonteroso. -
SVEGLIO e VOLENTEROSO
- Ho capito, ma ti ha detto, in qualche modo, che dopo... -
- Non preoccuparti: fai un po' di pratica e poi ti assume, regolarmente.
Mi raccomando, sii puntuale. Questa è un’occasione da non perdere. -
- O.K. Ciao. -

Carlos Castaneda


Il 19 Giugno del 1998 è stata annunciata la morte di Carlos Castaneda. Il mito diventa, così, leggenda.
Difficile inquadrare il personaggio, impossibile definire lo scrittore.
Un imbonitore, un antropologo sui generis, un ciarlatano, uno sciamano, un grande scrittore….l’hanno etichettato in mille modi.
La realtà è che troppo pochi hanno letto i suoi libri con un minimo di distacco. Impresa difficilissima, peraltro. Io stesso, dopo aver letto”Viaggio a Ixtlan”, stavo per partire alla volta del Messico.
Osteggiato e spesso disprezzato dalla “casta” dell’antropologia mondiale, quella “seria”, quella “scientifica”, quella che conta, Castaneda ha avuto un successo di pubblico enorme, soprattutto negli anni ’70, quando gli allucinogeni erano usati come mezzo per approfondire “conoscenza” e “consapevolezza”.
Inizialmente, il giovane antropologo dell’università della California, parte per il Messico per raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indio Yaqui. Durante uno di questi viaggi incontra Don Juan, stregone, “brujo”, “uomo di conoscenza”, molto preparato su ogni tipo di pianta, soprattutto il pejote. Un incontro che sconvolgerà letteralmente l’esistenza di Carlos.
Castaneda diventerà l’apprendista di don Juan e farà esperienze inimmaginabili, gli si aprirà un vero e proprio universo parallelo dove i consueti riferimenti logico-cognitivi semplicemente non avranno più senso.
Solo in pochi hanno avuto il buon senso di “leggere” l’opera di Castaneda come una grande ALLEGORIA.
“Vivere come un guerriero” è un modo di porsi, un atteggiamento verso la vita, verso il quotidiano. Essere sempre “consapevoli” e “pronti” in ogni momento di questa nostra insondabile e incerta esistenza è semplicemente l’unica cosa saggia da fare.
Con uno stile semplice e concreto, Castaneda ci trascina in un mondo fantastico e terrificante……MAGICO.



I suoi detrattori sono stati tanti (come da copione).
Insigni studiosi che hanno totalmente trascurato un fattore poco trascurabile: il linguaggio.
Il linguaggio “costruisce” il mondo e determina le strutture logico-cognitive con le quali noi lo percepiamo.
Castaneda, da ottimo antropologo, è entrato TOTALMENTE nel mondo degli stregoni Yaqui, cercando di afferrarne la logica interna, lontanissima dalla nostra e difficile da comprendere…per lo meno con i normali mezzi percettivi.
La nostra cultura e il nostro linguaggio rendono difficile accettare come “reali” le esperienze raccontate nei diari-romanzi dell’ Autore, ma lo stesso termine “reale” ha valenze molto differenti a seconda della cultura in cui è usato.
In questi ultimi anni il movimento “New Age” sta generando molta confusione. Con “New Age” spesso intendiamo un gran calderone che contiene discipline diversissime tra loro, dallo Yoga alla floriterapia, dallo Zen allo shatsu e chi più ne ha più ne metta.
“A scuola dallo stregone” è uscito nel 1968, ventisei anni prima de: ”La profezia di Celestino”.
“E’ stato affermato che l’Occidente non ha mai prodotto nessuna via di conoscenza spirituale paragonabile al grande sistema dell’Oriente, ed è per questo che i libri di Castaneda hanno il valore di una vera e propria rivelazione.”
La Rizzoli ha ripubblicato tutta l’opera. Cominciate dall’inizio:
“A scuola dallo stregone”; “Una realtà separata”; “Viaggio a Ixtlan”

passi falsi


Allo sbando.
Il sole ruminò l’orizzonte.
La luna tergiversò.
Il gatto saltò. Rotolò. Ronfò.
Il sorriso ruppe le labbra.
L’ironia inventò la sera.
Lo specchio indagò. Interrogò. Indugiò.
Il pomeriggio diluì entusiasmi.
La “dinamo” mortificò prospettive.
La sveglia suonò. Pazientò. S’indignò.
La noia sorprese i minuti,
l’universo immalinconì.

apocalittici e assonnati

Apocalittici e assonnati

Il suono petulante del citofono irrompe, ottuso, nel sogno, dileguandolo.
Imprecando mi alzo dal letto e vado a rispondere.
- Buon giorno, il signor Felici? - Il tono è forzatamente gioviale.
- Si. -
- Bene. Buongiorno, il mio nome è Rossano. -
ROSSANO?!
- Si.- Non so se ridere o piangere.
- Senta, avremo piacere di parlare un po’ con lei. -
- Parlare.... -
- Si, ma non vorremmo disturbarla, forse ha da fare. -
- Dormivo. - Sono le otto di Domenica.
- Oh, mi scusi per il disturbo, però potrebbe concederci dieci minuti per dirci cosa ne pensa della guerra delle malattie della delinquenza della droga dell’ambiente e se crede che dobbiamo rassegnarci oppure ha fiducia in una vita diversa... -
08.00 di Domenica e ROSSANO vuol sapere se ho fiducia in una vita diversa
- Si, insomma, lei crede che possa esserci una possibilità di salvezza per l’uomo, che possa essere felice? -
Potreste cominciare voi, evitando di rompere i coglioni al prossimo specie a quest’ora del mattino!
- Ascolta, Rossano, io stavo dormendo. -
- Ho capito e sono mortificato, ma non potrebbe dirmi se esiste, secondo lei, una possibilità di salvezza... -
- Sto cercando di dirti che non sono abbastanza lucido per affrontare l’argomento.-
- Beh, magari ripassiamo tra qualche giorno... -
- Si. Addio. - Torno a letto.
Ale sbadiglia:
- Chi era? -
- Rossano. -
- Chi? -
- Te l’ho detto: ROSSANO! -
- E chi è Rossano?! -
- Cosa vuoi che ne sappia... -
- Ma insomma, chi era? Che voleva? -
- Una POSSIBILITÀ’ DI SALVEZZA. -
- Cosa? -
- Lascia stare; dormi. -