“Andate fino in fondo, poi girate a sinistra.” La ragazza dello stand di piccola bigiotteria ci sorride, indicandoci lo “spazio-concerto”.
“Fiesta”, una manifestazione ben collaudata nell’ambito dell’”Estate Romana”, all’ ippodromo delle Capannelle. Sono le 21:30 di martedì e sembra che mezza Roma si sia riversata qui dentro, il che non mi stupirebbe, dato l’evento: si esibisce Franco Battiato; prezzo del biglietto £ 15.000.
Lo “spazio concerto” è in una posizione assolutamente infelice, una conca, affossata tra uno degli innumerevoli stand di ristorazione e la case popolari del Tuscolano. Abbastanza claustrofobico. Un centinaio di sedie sotto il palco ed una pedana di legno della quale mi accorgo solo dopo averci inciampato, mentre ci facciamo largo a gomitate tra centinaia di ragazzi e ragazzini vocianti.
Il cantautore si presenta con 5 minuti d’anticipo sul programma (che succede!? non è nel suo stile…) “Prima comincia prima finisce” è il malizioso pensiero che si affaccia per un istante; attacca con uno “standard” italiano: “Il cielo in una stanza” e l’atmosfera si scalda.
Il gruppo che lo accompagna è formato da un bassista, un batterista, un tastierista, un violinista, tre ragazze “vocalist”. Lui indossa il solito tight (lo stesso look da oltre dieci anni), ha sempre quell’aria da intellettuale smaliziato e un po’ snob che si trova lì per uno strano scherzo del destino. Lo spettacolo prosegue con un paio di pezzi tratti dal nuovo album, poi attacca con i “classici”: Bandiera bianca, Centro di gravità permanente, L’era del cinghiale bianco. Poi si insinuano le prime note de:”La cura” ed è a questo punto che l’atmosfera cambia di colpo, la folla impazzisce, tutti a cantare, (se non vengono accesi accendini è solo perché è passato di moda), le coppiette si stringono; io stesso ho la pelle d’oca…. Finalmente il Battiato che conosco, intimista e lirico, attento e partecipe che mette l’anima in uno dei più bei brani che la musica leggera italiana abbia prodotto negli ultimi dieci anni. Il testo è favoloso, la musica superba; se fino ad ora si è dimostrato un po’ freddo e distratto, il cantautore siciliano, appassionato delle danze Sufi, seguace da anni dei mistici darwishi, sfodera tutto il carisma di cui è capace; impossibile resistergli.
Questo non è certo l’ambiente che gli si addice; i grandi spazi aperti o i mega stadi
non gli consentono di esprimersi al meglio. Dopo tre quarti d’ora (l’accusa che gli viene rivolta sempre più di frequente è che i suoi concerti sono troppo brevi), lasca il posto al suo maestro Sufi, nonché paroliere, che si produce in una patetica parodia di Manu Ciao.
Mentre cerco di guadagnare l’uscita penso che la prossima volta sarà meglio spendere 70000 lire e andare a vedere Franco Battiato in un piccolo teatro.
mercoledì 30 luglio 2008
Incontri
Nel vicolo del vecchio quartiere s’insinua un vento sottile, freddo. Una giornata limpida è scivolata in questa sera cristallina. Dicembre esordisce a tinte forti.
L’ingresso della birreria è ostruito da un gruppetto di persone ferme a chiacchierare. Cristiano mi precede di qualche passo:
- Che cavolo! Neanche le dieci e già c’è ‘sto casino!-
- Considera che è Venerdì -
Un’onda calda, densa di fumo e risate, mi investe gradevolmente.
- Guarda, quelli si stanno alzando. -
Guadagniamo il tavolo che si è appena liberato e ci sediamo soddisfatti.
- Vado io; che vuoi? -
- La solita -
Cristiano si alza e si incammina verso il bancone della mescita.
Adoro questo locale: tavoli di legno, sedie di legno, niente luci al neon né televisori.
Sedute alla mia destra, due ragazze, di circa sedici diciassette anni, bionda l’una, mora l’altra, stanno chiacchierando fittamente.
Criss è di ritorno con le birre.
- Scusate posso prenderne una? - la “moretta” allunga il braccio verso il mio pacchetto di Camel.
- Certo. -
Liquidate le amenità di circostanza - Come vi chiamate? Venite qui spesso? - ci inoltriamo in una piacevole conversazione.
Le “due” si destreggiano tra Jazz e Bioenergetica con estrema disinvoltura. Io, che non nutro molta fiducia nelle nuove generazioni, sono sorpreso; Cristiano è entusiasta. Troppo: conosco quel luccichio nello sguardo; mi accosto al suo orecchio, abbassando la voce:
- Criss, non avranno diciott’anni! -
- Dici? Però sono simpatiche. -
- Saranno simpatiche ma esiste un articolo del Codice “Adescamento di minore”, se proprio devo finire in galera che sia per motivi politici o al massimo per ubriachezza molesta. -
- Ma falla finita. -
Nel frattempo la biondina sta richiamando l’attenzione di due “energumeni” appena entrati che la riconoscono e ci raggiungono.
Uno ha barba e capelli lunghi, abbigliamento anni ‘70 magro e molto alto; l’altro ha capelli cortissimi, giubbotto e “anfibi” neri, meno alto ma decisamente robusto.
Le ragazze fanno le presentazioni:
- Alfonso... Ugo. -
Non sono antipatici e la conversazione riprende, più animata di prima.
Ad un tratto mi sento urtare un piede.
Mi accendo una sigaretta e, di nuovo, qualcuno mi urta sotto il tavolo; mi sistemo meglio sulla sedia.
Osservando il gruppo, mi accorgo che Alfonso, lo Skin-head, è poco partecipe alla conversazione.
Mi sento di nuovo toccare il piede e stavolta non ho dubbi che la cosa sia intenzionale. Percepisco lo sguardo di Alfonso che ha uno strano sorrisetto sulle labbra. E’ troppo!
- Criss, ti sei scordato l’appuntamento? -
- Cosa? Quale appun... -
- Paola, ci aspetta alle undici e mezza... - con una occhiata eloquente.
- Ah... si è vero... beh, scusateci. - e ci alziamo frettolosamente.
- Ma come, andate via? -
- Si, sapete, questa nostra amica... ce ne stavamo proprio dimenticando. -
- Ciao. -
Appena fuori dalla birreria, Criss mi chiede spiegazioni.
- Cazzo, erano cinque minuti che mi faceva “piedino” sotto il tavolo! -
- Ma chi, la bionda o la mora? -
- Lascia perdere... -
L’ingresso della birreria è ostruito da un gruppetto di persone ferme a chiacchierare. Cristiano mi precede di qualche passo:
- Che cavolo! Neanche le dieci e già c’è ‘sto casino!-
- Considera che è Venerdì -
Un’onda calda, densa di fumo e risate, mi investe gradevolmente.
- Guarda, quelli si stanno alzando. -
Guadagniamo il tavolo che si è appena liberato e ci sediamo soddisfatti.
- Vado io; che vuoi? -
- La solita -
Cristiano si alza e si incammina verso il bancone della mescita.
Adoro questo locale: tavoli di legno, sedie di legno, niente luci al neon né televisori.
Sedute alla mia destra, due ragazze, di circa sedici diciassette anni, bionda l’una, mora l’altra, stanno chiacchierando fittamente.
Criss è di ritorno con le birre.
- Scusate posso prenderne una? - la “moretta” allunga il braccio verso il mio pacchetto di Camel.
- Certo. -
Liquidate le amenità di circostanza - Come vi chiamate? Venite qui spesso? - ci inoltriamo in una piacevole conversazione.
Le “due” si destreggiano tra Jazz e Bioenergetica con estrema disinvoltura. Io, che non nutro molta fiducia nelle nuove generazioni, sono sorpreso; Cristiano è entusiasta. Troppo: conosco quel luccichio nello sguardo; mi accosto al suo orecchio, abbassando la voce:
- Criss, non avranno diciott’anni! -
- Dici? Però sono simpatiche. -
- Saranno simpatiche ma esiste un articolo del Codice “Adescamento di minore”, se proprio devo finire in galera che sia per motivi politici o al massimo per ubriachezza molesta. -
- Ma falla finita. -
Nel frattempo la biondina sta richiamando l’attenzione di due “energumeni” appena entrati che la riconoscono e ci raggiungono.
Uno ha barba e capelli lunghi, abbigliamento anni ‘70 magro e molto alto; l’altro ha capelli cortissimi, giubbotto e “anfibi” neri, meno alto ma decisamente robusto.
Le ragazze fanno le presentazioni:
- Alfonso... Ugo. -
Non sono antipatici e la conversazione riprende, più animata di prima.
Ad un tratto mi sento urtare un piede.
Mi accendo una sigaretta e, di nuovo, qualcuno mi urta sotto il tavolo; mi sistemo meglio sulla sedia.
Osservando il gruppo, mi accorgo che Alfonso, lo Skin-head, è poco partecipe alla conversazione.
Mi sento di nuovo toccare il piede e stavolta non ho dubbi che la cosa sia intenzionale. Percepisco lo sguardo di Alfonso che ha uno strano sorrisetto sulle labbra. E’ troppo!
- Criss, ti sei scordato l’appuntamento? -
- Cosa? Quale appun... -
- Paola, ci aspetta alle undici e mezza... - con una occhiata eloquente.
- Ah... si è vero... beh, scusateci. - e ci alziamo frettolosamente.
- Ma come, andate via? -
- Si, sapete, questa nostra amica... ce ne stavamo proprio dimenticando. -
- Ciao. -
Appena fuori dalla birreria, Criss mi chiede spiegazioni.
- Cazzo, erano cinque minuti che mi faceva “piedino” sotto il tavolo! -
- Ma chi, la bionda o la mora? -
- Lascia perdere... -
Alternative
Arrivo a Campo de’ Fiori trafelato, quasi correndo.
Giordano Bruno è sempre lì, lo sguardo corrucciato sotto il cappuccio.
Sono in ritardo di un buon quarto d’ora; Cristiano mi saluta sorridente, non sembra alterato. D’altronde non lo è mai: la sua pazienza è qualcosa di indecente. Sempre disponibile, sempre accomodante. Sono convinto che potrebbe uccidere qualcuno con la massima naturalezza, il giorno che gli girino le palle. E non vorrei trovarmi là.
Cerco di spiegargli, frettolosamente, il motivo del ritardo; mi dice che non ha capito... beh, nemmeno io, del resto.
Ci muoviamo verso il “Caffè delle Lettere”; solo ora mi accorgo della “Minolta” che tiene in mano:
- E quella? -
- Volevo fare delle foto... -
- Grandioso, con questa luce fantastica... -
- Volevo fare una foto ad una cosa che ho in macchina. -
- Tra poco sarà buio, quando la prendi? -
- No, la foto la voglio fare DENTRO la macchina. -
- Oh, capisco... -
In realtà capisco che è meglio lasciar perdere; mi darebbe, al solito, spiegazioni incomprensibili.
Perché diavolo con questa giornata così limpida e questa luce “ideale”, lui debba fare delle foto all’INTERNO della macchina?!
Motivi imperscrutabili.
- Così hai finalmente trovato lavoro, eh? -
- Mah. Un amico di mio padre... fa il commercialista... -
- Oh! Li conosco bene i commercialisti. -
- Già. Comunque è una buona opportunità. Ho un appuntamento lunedì.-
- Ottimo! -
- Dio, sono così TESO.... -
Nel frattempo siamo arrivati al “Caffè delle Lettere”: CHIUSO. Per l’ennesima volta un viaggio a vuoto.
- Ti propongo un ’alternativa. -
Il bello di quest’uomo è che ha, sempre e comunque, un ’alternativa pronta.
- A Viale Eritrea c’è una presentazione di libri in edizione economica. -
- Fantastico, andiamo!-
Niente di meglio che un buon libro ad un buon prezzo.
Viale Eritrea è gonfia di automobili, autobus, motorini cavalcati da ragazzine ammiccanti al di sotto dei diciott’anni.
- Perché mi capitano solo donne al di sopra dei trenta? - si lamenta lui.
- Perché mi capitano solo ragazzine al di sotto dei trenta?- mi lagno io. -
Convinti che i nostri problemi con le donne siano unicamente di natura anagrafica parcheggiamo in terza fila ed entriamo in libreria.
- Criss, ma è una “sola” ! -
- Infatti. -
- Criss, queste edizioni si trovano in una qualsiasi edicola con un minimo di dignità. -
Ci infiliamo di nuovo nella “Uno” rossa, di nuovo nel marasma di Viale Eritrea.
Giordano Bruno è sempre lì, lo sguardo corrucciato sotto il cappuccio.
Sono in ritardo di un buon quarto d’ora; Cristiano mi saluta sorridente, non sembra alterato. D’altronde non lo è mai: la sua pazienza è qualcosa di indecente. Sempre disponibile, sempre accomodante. Sono convinto che potrebbe uccidere qualcuno con la massima naturalezza, il giorno che gli girino le palle. E non vorrei trovarmi là.
Cerco di spiegargli, frettolosamente, il motivo del ritardo; mi dice che non ha capito... beh, nemmeno io, del resto.
Ci muoviamo verso il “Caffè delle Lettere”; solo ora mi accorgo della “Minolta” che tiene in mano:
- E quella? -
- Volevo fare delle foto... -
- Grandioso, con questa luce fantastica... -
- Volevo fare una foto ad una cosa che ho in macchina. -
- Tra poco sarà buio, quando la prendi? -
- No, la foto la voglio fare DENTRO la macchina. -
- Oh, capisco... -
In realtà capisco che è meglio lasciar perdere; mi darebbe, al solito, spiegazioni incomprensibili.
Perché diavolo con questa giornata così limpida e questa luce “ideale”, lui debba fare delle foto all’INTERNO della macchina?!
Motivi imperscrutabili.
- Così hai finalmente trovato lavoro, eh? -
- Mah. Un amico di mio padre... fa il commercialista... -
- Oh! Li conosco bene i commercialisti. -
- Già. Comunque è una buona opportunità. Ho un appuntamento lunedì.-
- Ottimo! -
- Dio, sono così TESO.... -
Nel frattempo siamo arrivati al “Caffè delle Lettere”: CHIUSO. Per l’ennesima volta un viaggio a vuoto.
- Ti propongo un ’alternativa. -
Il bello di quest’uomo è che ha, sempre e comunque, un ’alternativa pronta.
- A Viale Eritrea c’è una presentazione di libri in edizione economica. -
- Fantastico, andiamo!-
Niente di meglio che un buon libro ad un buon prezzo.
Viale Eritrea è gonfia di automobili, autobus, motorini cavalcati da ragazzine ammiccanti al di sotto dei diciott’anni.
- Perché mi capitano solo donne al di sopra dei trenta? - si lamenta lui.
- Perché mi capitano solo ragazzine al di sotto dei trenta?- mi lagno io. -
Convinti che i nostri problemi con le donne siano unicamente di natura anagrafica parcheggiamo in terza fila ed entriamo in libreria.
- Criss, ma è una “sola” ! -
- Infatti. -
- Criss, queste edizioni si trovano in una qualsiasi edicola con un minimo di dignità. -
Ci infiliamo di nuovo nella “Uno” rossa, di nuovo nel marasma di Viale Eritrea.
Confessioni
La “Testimone di Geova” mi si avvicina, sul marciapiede, insinuandosi tra le persone alla fermata dell’autobus. Mi chiede:
- Posso farle una domanda? - Il tono è “dolciastro”.
Sono preso in contropiede, le dico di sì.
- Lei quale pensa sia stata la persona che ha maggiormente influenzato, nel bene, l’Umanità? -
Mi chiedo come diavolo possa fare, questa donna, a formulare simili quesiti, in mezzo al traffico cittadino; penso che presto venderanno la Bibbia a fascicoli settimanali, dando magari, in omaggio col primo fascicolo, un paio di Indulgenze.
Uno sponsor per Dio!
Maledicendo l’inefficienza dei trasporti urbani, illudendomi di scoraggiarla almeno un po’, le rispondo:
- Karl Marx. -
Ma la bacchettona conosce il proprio mestiere. Ammortizzando bene il colpo, con un sorriso infido, comincia:
- Questo è interessante ; infatti per oltre settant’anni... -
Le persone intorno evitano accuratamente di avvicinarsi, mentre la tipa continua a sproloquiare sul “socialismo reale”; a tratti annuisco distrattamente, lanciando continue occhiate nella direzione dalla quale dovrebbe arrivare l’autobus; penso a tutte le volte che ho sentito, al Tg, l’ espressione “fondamentalismo islamico”, pronunciata con toni esorcizzanti.
Finalmente arriva il mio autobus, ma prima che mi sia defilato, l’invasata mi ha incollato tra le mani un libercolo dal titolo apocalittico.
Dopo un paio di minuti, l’autobus sta transitando in una viuzza alberata; passiamo di fronte ad un’immagine sacra; una signora, dall’aria insospettabile, si fa il segno della croce, con un gesto evidente. E’ troppo!
So già che dovrò sopportare un’ ulteriore, snervante attesa, ma non importa: mi faccio largo a gomitate e scendo dall’autobus.
Devo trovare un lavoro! Non foss’altro per comprarmi un’automobile ed evitare simili incontri.
- Posso farle una domanda? - Il tono è “dolciastro”.
Sono preso in contropiede, le dico di sì.
- Lei quale pensa sia stata la persona che ha maggiormente influenzato, nel bene, l’Umanità? -
Mi chiedo come diavolo possa fare, questa donna, a formulare simili quesiti, in mezzo al traffico cittadino; penso che presto venderanno la Bibbia a fascicoli settimanali, dando magari, in omaggio col primo fascicolo, un paio di Indulgenze.
Uno sponsor per Dio!
Maledicendo l’inefficienza dei trasporti urbani, illudendomi di scoraggiarla almeno un po’, le rispondo:
- Karl Marx. -
Ma la bacchettona conosce il proprio mestiere. Ammortizzando bene il colpo, con un sorriso infido, comincia:
- Questo è interessante ; infatti per oltre settant’anni... -
Le persone intorno evitano accuratamente di avvicinarsi, mentre la tipa continua a sproloquiare sul “socialismo reale”; a tratti annuisco distrattamente, lanciando continue occhiate nella direzione dalla quale dovrebbe arrivare l’autobus; penso a tutte le volte che ho sentito, al Tg, l’ espressione “fondamentalismo islamico”, pronunciata con toni esorcizzanti.
Finalmente arriva il mio autobus, ma prima che mi sia defilato, l’invasata mi ha incollato tra le mani un libercolo dal titolo apocalittico.
Dopo un paio di minuti, l’autobus sta transitando in una viuzza alberata; passiamo di fronte ad un’immagine sacra; una signora, dall’aria insospettabile, si fa il segno della croce, con un gesto evidente. E’ troppo!
So già che dovrò sopportare un’ ulteriore, snervante attesa, ma non importa: mi faccio largo a gomitate e scendo dall’autobus.
Devo trovare un lavoro! Non foss’altro per comprarmi un’automobile ed evitare simili incontri.
venerdì 11 luglio 2008
colori proibiti
martedì 17 giugno 2008
Bussole inefficaci

Cos’ho imparato?
Troppe variabili per
quest’unica esistenza
priva di istruzioni per l’uso.
Carenza di aggettivi;
ore spicciole in
tasche bucate,
prospettive stanche in
cassetti polverosi.
Madonnine al fosforo,
crocifissi in peltro,
manager ipertesi,
campagne elettorali;
figure marginali nei
miei limitati orizzonti.
Argomenti diluiti di cui
si son smarrite le tracce.
Medici
La tangenziale è ormai alle nostre spalle; la strada che percorriamo è costellata di ragazzi che vendono sigarette di contrabbando. Anna mi chiede di controllare il foglietto dove si è appuntata le indicazione per raggiungere Villa Valeria, dove abbiamo (ho) appuntamento con il neurologo.
Dopo un paio di indicazioni fuorvianti, forniteci dagli indigeni, raggiungiamo la zona; ci infiliamo in un vicolo largo 50 cm più della macchina; sporgendosi dal finestrino, Anna chiede della Villa ad una signora seduta davanti ad un negozio;
la tipa esibisce un repertorio di smorfie da far impallidire Jerry Lewis, poi:
- Mai sentita, signo’! -
Dopo neanche dieci metri ci troviamo di fronte alla clinica, la scritta “Villa Valeria” è di dimensioni impressionanti.
Suoniamo al citofono.
- Ma avete un appuntamento? - la voce femminile ha un tono ostile.
- Si, con il Dottor Russo. -
- Dottore? (F.C.) Dice la signora di avere un appuntamento con lei, è vero? -
Mi chiedo se siamo in un centro diurno per handicappati, come ci avevano informato, o davanti ad una base del Pentagono.
- Va bene, entrate... - il tono ancora sospettoso.
Il “tono sospettoso” assume le sembianze di un ‘ infermiera sulla sessantina, con zoccoli bianchi e atteggiamento marziale ma gentile:
- Accomodatevi che il Dottore arriva subito. -
Nel cortile assolato transita un tipo dall ‘età indefinibile, lo sguardo vuoto, mormora una litania tra sé e sé ripetendo di continuo un gesto rituale; osservandolo, mi convinco che l ‘aver lasciato l ‘ “assistenza domiciliare” è stata una scelta saggia.
L’ infermiera ci viene incontro:
- Venite, vi accompagno dal Dottore. -
La stanza è grande, fredda, spoglia: squallida. Un tipo sui “quaranta”, radi capelli ricci,
camice sbottonato, è seduto dietro una scrivania che sembra una banco preso in prestito da un istituto tecnico industriale; quando entriamo, alza appena lo sguardo:
- Buongiorno, ha avuto difficoltà a trovare la strada? - rivolgendosi ad Anna.
- No, nessun problema, come sta? -
- Bene, grazie. -
- Beh... questo è Marco. -
La reazione del medico è inesistente. Anna esce dalla stanza.
Mi siedo mentre il tipo continua a fissarmi con occhi assenti, l’ atteggiamento finto-rilassato.
- Bene, qual ‘ è il problema? -
Cazzo! Mi vengono in mente almeno sette battute “da film” contemporaneamente, prima fra tutte: “ è lei il dottore! ”. Invece rispondo:
- L ‘ ansia. - come se fosse il sintomo la causa e la cura in una volta.
- E QUANDO è ansioso? -
Adesso senz ‘ altro, coglione!
- Mah... sempre... -
- E PERCHE’ è ansioso ? -
Ora mi alzo e me ne vado!! -
- Beh... non saprei... -
Soltanto adesso il dottore comincia a pronunciare frasi oltre una proposizione di
primo grado... e mi chiede della mia infanzia!
L ‘ uomo che mi sta di fronte è giovane, intelligente, dinamico eppure sta dicendo una serie di idiozie che pensavo sepolte con Pavlov. Sembra che gli ultimi quarant ‘ anni di ricerche psichiatriche, neurologiche e, soprattutto, psicologiche, gli siano scivolati addosso senza scalfirlo.
Provo a intromettermi dicendo che forse, la bioenergetica....
Scansa l’ argomento come un insetto fastidioso, mettendo Lowen alla stessa stregua del Vudù haitiano.
Squilla il telefono. Dev ‘ essere un collega, cominciano a parlare di AUTOMOBILI!
Lui è entusiasta di un recente acquisto, l’ ultimo modello di non so cosa!
Io non sono snob, non molto perlomeno, ma Cristo: automobili!!
Se non fosse che sono qui perché ho dei problemi reali, mi starei divertendo parecchio.
Riaggancia.
- Lei è depresso. - conclude, lapidario.
Mi consiglia un ‘ analisi Junghiana e mi prescrive degli antidepressivi.
Mi accompagna alla porta mentre Anna ci viene incontro; non vuole assolutamente essere pagato. “ e ci mancherebbe!! “ penso, mentre insisto debolmente.
- Com ‘è andata? - mi chiede Anna
- Bene. - mento io.
La farmacista legge la ricetta con attenzione, cerca tra gli scaffali, mi restituisce ricetta e una scatola verde e bianca:
- Quarantottomila. -
La Vera Medicina, l’ unica Medicina: la Medicina Ufficiale!
Quarantottomila.
Dopo un paio di indicazioni fuorvianti, forniteci dagli indigeni, raggiungiamo la zona; ci infiliamo in un vicolo largo 50 cm più della macchina; sporgendosi dal finestrino, Anna chiede della Villa ad una signora seduta davanti ad un negozio;
la tipa esibisce un repertorio di smorfie da far impallidire Jerry Lewis, poi:
- Mai sentita, signo’! -
Dopo neanche dieci metri ci troviamo di fronte alla clinica, la scritta “Villa Valeria” è di dimensioni impressionanti.
Suoniamo al citofono.
- Ma avete un appuntamento? - la voce femminile ha un tono ostile.
- Si, con il Dottor Russo. -
- Dottore? (F.C.) Dice la signora di avere un appuntamento con lei, è vero? -
Mi chiedo se siamo in un centro diurno per handicappati, come ci avevano informato, o davanti ad una base del Pentagono.
- Va bene, entrate... - il tono ancora sospettoso.
Il “tono sospettoso” assume le sembianze di un ‘ infermiera sulla sessantina, con zoccoli bianchi e atteggiamento marziale ma gentile:
- Accomodatevi che il Dottore arriva subito. -
Nel cortile assolato transita un tipo dall ‘età indefinibile, lo sguardo vuoto, mormora una litania tra sé e sé ripetendo di continuo un gesto rituale; osservandolo, mi convinco che l ‘aver lasciato l ‘ “assistenza domiciliare” è stata una scelta saggia.
L’ infermiera ci viene incontro:
- Venite, vi accompagno dal Dottore. -
La stanza è grande, fredda, spoglia: squallida. Un tipo sui “quaranta”, radi capelli ricci,
camice sbottonato, è seduto dietro una scrivania che sembra una banco preso in prestito da un istituto tecnico industriale; quando entriamo, alza appena lo sguardo:
- Buongiorno, ha avuto difficoltà a trovare la strada? - rivolgendosi ad Anna.
- No, nessun problema, come sta? -
- Bene, grazie. -
- Beh... questo è Marco. -
La reazione del medico è inesistente. Anna esce dalla stanza.
Mi siedo mentre il tipo continua a fissarmi con occhi assenti, l’ atteggiamento finto-rilassato.
- Bene, qual ‘ è il problema? -
Cazzo! Mi vengono in mente almeno sette battute “da film” contemporaneamente, prima fra tutte: “ è lei il dottore! ”. Invece rispondo:
- L ‘ ansia. - come se fosse il sintomo la causa e la cura in una volta.
- E QUANDO è ansioso? -
Adesso senz ‘ altro, coglione!
- Mah... sempre... -
- E PERCHE’ è ansioso ? -
Ora mi alzo e me ne vado!! -
- Beh... non saprei... -
Soltanto adesso il dottore comincia a pronunciare frasi oltre una proposizione di
primo grado... e mi chiede della mia infanzia!
L ‘ uomo che mi sta di fronte è giovane, intelligente, dinamico eppure sta dicendo una serie di idiozie che pensavo sepolte con Pavlov. Sembra che gli ultimi quarant ‘ anni di ricerche psichiatriche, neurologiche e, soprattutto, psicologiche, gli siano scivolati addosso senza scalfirlo.
Provo a intromettermi dicendo che forse, la bioenergetica....
Scansa l’ argomento come un insetto fastidioso, mettendo Lowen alla stessa stregua del Vudù haitiano.
Squilla il telefono. Dev ‘ essere un collega, cominciano a parlare di AUTOMOBILI!
Lui è entusiasta di un recente acquisto, l’ ultimo modello di non so cosa!
Io non sono snob, non molto perlomeno, ma Cristo: automobili!!
Se non fosse che sono qui perché ho dei problemi reali, mi starei divertendo parecchio.
Riaggancia.
- Lei è depresso. - conclude, lapidario.
Mi consiglia un ‘ analisi Junghiana e mi prescrive degli antidepressivi.
Mi accompagna alla porta mentre Anna ci viene incontro; non vuole assolutamente essere pagato. “ e ci mancherebbe!! “ penso, mentre insisto debolmente.
- Com ‘è andata? - mi chiede Anna
- Bene. - mento io.
La farmacista legge la ricetta con attenzione, cerca tra gli scaffali, mi restituisce ricetta e una scatola verde e bianca:
- Quarantottomila. -
La Vera Medicina, l’ unica Medicina: la Medicina Ufficiale!
Quarantottomila.
Ordine costituito
Il poliziotto in borghese mi fa segno di fermarmi, agitando insensatamente la paletta.
Cazzo! Ho percorso più di trecento chilometri, di cui dieci a passo d’ uomo grazie ad un imbecille di camionista che ha rovesciato il suo TIR carico di farina,
sono ore che sto in macchina, sono stanco e affamato; pioviggina ed è buio da tempo. Ho appena passato il casello: solo venti chilometri mi separano da Casalnuovo e la DIGOS deve rompermi le palle proprio adesso; mannaggia a quando ho preso questa Uno bianca!
Il poliziotto si guarda bene dal venire subito vicino al finestrino; gira attorno alla macchina, si ferma dietro, consultandosi con il collega. Se pensa di innervosirmi
con questi stupidi giochetti, beh... ci sta riuscendo.
Alfine si decide a venire dalla mia parte. Gli dico “Buonasera”, lui mi risponde:
- Documenti. - Così, NATURALMENTE, come ci si può chiedere “come stai”;
quel “documenti” gli esce fuori che è un piacere, da attore consumato.
Che vuol dire “documenti”?, quali documenti, i miei, quelli della macchina, la licenza di pesca?
L’ ultima volta che mi hanno fermato erano due Carabinieri, in divisa; mi hanno salutato e mi hanno chiesto: - Patente e libretto, per favore. -.
E poi le barzellette le inventano su di loro!
Sono tentato di dargli il tesserino della mensa universitaria, poi penso che questa gente non ha il senso dell’ umorismo e gli allungo la patente ed il libretto.
Il poliziotto si allontana ed un istante dopo arriva il collega che mi chiede di scendere.
- Allora, Felici, dove abita? - con un buon accento napoletano.
Pronuncia quel “Felici” con soddisfazione voluttuaria, per farmi capire di quale preziosa INFORMAZIONE sia venuto a conoscenza così rapidamente.
- Mi sono trasferito da poco; ad Assisi. -
- Si ma dove ABITA? -
Cristo santo!!
- Sono di Roma, ma da un paio di mesi mi sono trasferito ad Assisi. -
Nel frattempo l’ altro poliziotto sta dando uno sguardo ai miei bagagli, gettati nel sedile posteriore, un po’ alla rinfusa.
- Professione? -
Diavolo d’un uomo! Se gli dico che sono disoccupato andremmo avanti con questa brillante conversazione tutta la notte.
- Studente. -
- Studente? - con un’ espressione stavolta indecifrabile.
Si avvicina il collega e mi chiede di aprire il portabagagli.
E’ finita! Ancora devo levare dei libri e l’ argenteria che sono lì dal trasloco.
Mentre apro il portellone penso a cosa succederà una volta che i due poliziotti
vedranno quei sacchetti neri della spazzatura buttati lì.
Trattengo il fiato, aspettandomi reazioni scomposte e battute demenziali; invece
nulla: i due tutori dell’ “ordine costituito” (chi l’avrà costituito, poi, quest’ ordine? ) si limitano a dare un’ occhiata e dirmi di aprire i sacchetti, cosa che non faccio assolutamente spiegando loro che si tratta di roba vecchia che non so dove mettere nella casa nuova.
Il primo poliziotto mi restituisce la patente, (naturalmente, fuori dalla custodia), e
mi saluta.
Salgo in macchina mentre la pioggia si infittisce, parto e, con le ultime gocce di energia rimastemi, mi concentro sulle indicazioni in “blu” per Casalnuovo, cercando di non pensare al fatto che, alla nostra sicurezza, sono preposti simili SOGGETTI.
Cazzo! Ho percorso più di trecento chilometri, di cui dieci a passo d’ uomo grazie ad un imbecille di camionista che ha rovesciato il suo TIR carico di farina,
sono ore che sto in macchina, sono stanco e affamato; pioviggina ed è buio da tempo. Ho appena passato il casello: solo venti chilometri mi separano da Casalnuovo e la DIGOS deve rompermi le palle proprio adesso; mannaggia a quando ho preso questa Uno bianca!
Il poliziotto si guarda bene dal venire subito vicino al finestrino; gira attorno alla macchina, si ferma dietro, consultandosi con il collega. Se pensa di innervosirmi
con questi stupidi giochetti, beh... ci sta riuscendo.
Alfine si decide a venire dalla mia parte. Gli dico “Buonasera”, lui mi risponde:
- Documenti. - Così, NATURALMENTE, come ci si può chiedere “come stai”;
quel “documenti” gli esce fuori che è un piacere, da attore consumato.
Che vuol dire “documenti”?, quali documenti, i miei, quelli della macchina, la licenza di pesca?
L’ ultima volta che mi hanno fermato erano due Carabinieri, in divisa; mi hanno salutato e mi hanno chiesto: - Patente e libretto, per favore. -.
E poi le barzellette le inventano su di loro!
Sono tentato di dargli il tesserino della mensa universitaria, poi penso che questa gente non ha il senso dell’ umorismo e gli allungo la patente ed il libretto.
Il poliziotto si allontana ed un istante dopo arriva il collega che mi chiede di scendere.
- Allora, Felici, dove abita? - con un buon accento napoletano.
Pronuncia quel “Felici” con soddisfazione voluttuaria, per farmi capire di quale preziosa INFORMAZIONE sia venuto a conoscenza così rapidamente.
- Mi sono trasferito da poco; ad Assisi. -
- Si ma dove ABITA? -
Cristo santo!!
- Sono di Roma, ma da un paio di mesi mi sono trasferito ad Assisi. -
Nel frattempo l’ altro poliziotto sta dando uno sguardo ai miei bagagli, gettati nel sedile posteriore, un po’ alla rinfusa.
- Professione? -
Diavolo d’un uomo! Se gli dico che sono disoccupato andremmo avanti con questa brillante conversazione tutta la notte.
- Studente. -
- Studente? - con un’ espressione stavolta indecifrabile.
Si avvicina il collega e mi chiede di aprire il portabagagli.
E’ finita! Ancora devo levare dei libri e l’ argenteria che sono lì dal trasloco.
Mentre apro il portellone penso a cosa succederà una volta che i due poliziotti
vedranno quei sacchetti neri della spazzatura buttati lì.
Trattengo il fiato, aspettandomi reazioni scomposte e battute demenziali; invece
nulla: i due tutori dell’ “ordine costituito” (chi l’avrà costituito, poi, quest’ ordine? ) si limitano a dare un’ occhiata e dirmi di aprire i sacchetti, cosa che non faccio assolutamente spiegando loro che si tratta di roba vecchia che non so dove mettere nella casa nuova.
Il primo poliziotto mi restituisce la patente, (naturalmente, fuori dalla custodia), e
mi saluta.
Salgo in macchina mentre la pioggia si infittisce, parto e, con le ultime gocce di energia rimastemi, mi concentro sulle indicazioni in “blu” per Casalnuovo, cercando di non pensare al fatto che, alla nostra sicurezza, sono preposti simili SOGGETTI.
lunedì 9 giugno 2008
Ambiguità
- Possibile che con te non si possa mai fare un discorso serio? -
Ridacchiando, getto un’ occhiata al bicchiere della mia Harp strong, dimezzato; mi schernisco:
- Ma non è vero, Sandra, tu ed io non abbiamo avuto molte occasioni per parlare, così, a quattr’ occhi, e poi, con questo casino, che discorsi seri vuoi fare? -
Il pub, effettivamente, è affollato: militari rumorosamente in cerca di compagnia, Inglesine con la stessa intenzione, ma più discrete, Irlandesi ubriachi lerci.
- Guarda che sei stato tu a dirmi “ ti porto in un pub carinissimo dove spillano la birra più buona di Roma “ -
- Ma infatti. Perché, non ti piace questa birra? - non riesco a non ridere.
- Stupido! Ecco, lo vedi? -
- D’ accordo, d’ accordo. Parliamo seriamente. Parlami di te. - trattenendo a stento il riso con i denti.
Lei comincia a parlare, intermezzando disavventure sentimentali a lunghe sorsate di birra.
Io mi accendo una sigaretta, distratto.
Va bene che a Roma non c’é quasi più nessuno, che alla TV non c’ era un film accettabile, che avevo una sete impellente, ma proprio questa idiota dovevo chiamare? Che caspita ci faccio io, qui, adesso?
E mi chiede pure di essere serio!
Beh, ormai la cazzata l’ ho fatta, stiamo al gioco.
Sandra continua a parlare, la voce sempre più “strascicata”, le pause sempre più lunghe; poi, con un’ espressione maliziosa:
- Però, lo sai che non è affatto male, questa birra! - e giù a ridere a crepapelle,
così, all’ improvviso; come davanti ad una smorfia di Toto’.
Io mi guardo intorno, un po' imbarazzato.
- Ehi, tutto bene? - avvicinandomi.
- Si si. Sai, avevi ragione, questa birra è proprio ... - e giù un’ altra risata.
Solo adesso mi accorgo che della sua “media doppio malto” non ne è rimasto che un dito.
- Va bene, adesso andiamo, su... - aiutandola ad alzarsi.
- Si andiamo... - con gli occhi lucidi e ammiccanti: - Guidi tu? -
Puoi giurarci!
- Si, non preoccuparti. - Devo sorreggerla per quanto barcolla.
Lasciamo il locale tra mille occhi divertiti.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
- Senti, ma tu mi trovi ambigua? -
L’ auto è parcheggiata in una viuzza tranquilla, al riparo da sguardi indiscreti.
Sandra sembra aver smaltito la sbornia.
- Ambigua? -
- Si, mi trovi un tipo ambiguo, che so, negli atteggiamenti, o... -
Meglio sbronza: se non altro aveva l’ alibi di uno stato di coscienza alterato; ma come fa ad infilare tante idiozie una dietro l’ altra?!
- Qualcuno ti ha detto che hai degli atteggiamenti ambigui? -
- Si, il dentista. -
Il dentista?!
- Il tuo dentista? -
- Si; durante una seduta, qualche giorno fa. -
Durante una seduta?!
Ma quanto può essere ambiguo, un premolare?!
- Sai, ha cominciato ha fare strani discorsi, su certi miei atteggiamenti... -
Terrificante! Davanti a delle ganasce spalancate, con il gorgoglio del tubicino che risucchiava saliva, gengive sanguinanti, quell’ uomo riusciva a pensare agli “atteggiamenti ambigui” di questa cretina!
Un eroe!
Lei continua a raccontare, ( annichilendo Stephen King ), mentre, con una mossa ben studiata, ruota su se stessa, appoggiando la schiena allo sportello, mettendomisi di fronte, alzando appena la gonna, già corta.
Il mio disagio è ormai evidente.
- Ma cos’ hai, sei nervoso? -
- No, sai, i dentisti mi mettono sempre in agitazione... -
- Su, piantala... vieni qui. - mi prende per le spalle e, con agilità sorprendente
allarga le gambe, mi adagia sul sedile e comincia a massaggiarmi il collo.
- Dio quanto sei teso! -
Altro che teso! La situazione è ad un punto di non ritorno e io, che oltretutto non sono più neanche brillo, non ho nessuna intenzione di arrivare al solito, naturale epilogo di ogni circostanza simile.
Capisco che devo dare fondo a tutte le mie risorse; torno a sedere al mio posto, la guardo tenero e serissimo:
- Sandra, ti ho mai raccontato quello che mi è successo a Beirut? -
- Beirut?! Quando sei stato a Beirut? -
- Nel momento peggiore... - qui mancava solo un “baby” alla fine ed era perfetto.
- Sai, tra l’ ottantadue e l’ ottantaquattro sceglievano alcuni militari di leva,
a caso, e li mandavano in Libano. -
Ma che sto dicendo, questa non sa neanche dove sia, il Libano.
- Nel Libano a fare che? -
E infatti! Ma con chi diavolo sono uscito, con una ragazzina di “non è la rai” ?
Cerco di mantenermi calmo.
- Senti, hai presente la Bosnia? -
- Certo! Dove credi che viva, sulla luna? -
Ora la picchio!!
- Beh, stessa cosa: dieci anni fa, nel Libano c’ era lo stesso casino; a dire la
verità il casino c’ è ancora, ma tra i giornalisti è passato di moda.
Comunque: il nostro Governo decise di mandare un contingente di pace;
così sono partito anch’ io: tre mesi a Beirut ... - lo sguardo perso nei ricordi:
- ... e lì c’ era la guerra, quella vera! - Bogart sarebbe fiero di me.
- Davvero?! -
Presa! Ormai nulla potrebbe distrarla o farla dubitare del racconto.
Libero ogni freno:
- Beh, è chiaro che non eravamo in prima linea; siamo andati come supporto
ai “caschi blu”, te l’ ho detto; comunque, le bombe ti assicuro che le sentivamo.
Un giorno... un brutto giorno eravamo in perlustrazione, un po’ distanti dal
Campo; io mi sono allontanato per qualche metro e ad un tratto...
... l’ esplosione! Il proiettile del mortaio sarà caduto ad una decina di metri; ricordo solo un fischio, un bagliore accecante... poi il buio. -
Sandra sta trattenendo il fiato, non riesce più neanche a fare domande.
Così posso continuare, serissimo:
- Ho perso conoscenza per un paio d’ ore. All’ ospedale del Campo, i medici
mi hanno visitato a lungo, hanno fatto tutti i controlli possibili: nulla; non mi
sono fatto neanche un graffio. -
- Fiuuu... meno male... - riesce a sussurrare.
- Aspetta a dirlo... - qualche secondo di suspense è d’ obbligo.
- Quando sono tornato, finito il militare, mi sono fatto visitare dal mio medico:
era tutto normale... tutto tranne... -
- Cosa?! Dài, non tenermi così! Cosa!? -
- Beh sai, all’ inizio pensavo fosse ancora lo shoc, ma dopo qualche mese ho
cominciato a preoccuparmi... -
- Piantala! Vuoi dirmi che cos’ hai? -
Un profondo sospiro, le sfodero il mio sguardo più vittimistico, e:
- Da allora non riesco più ad avere un’ erezione! -
- Oddio! - e si copre il viso con le mani.
Ho un istante di rimorso; forse ho esagerato... no! Se lo merita!
Lei mi sta guardando, amorevolmente imbarazzata:
- Mi dispiace, mi dispiace veramente; non pensavo... -
- Che vuoi farci. Ho provato di tutto, farmaci, psicoterapia... niente, non
c’è niente da fare.
Comunque, poco tempo fa, mi sono rivolto ad un bravissimo neurologo che
mi ha dato qualche speranza; sto facendo una terapia... vedremo.
Senti Sandra, mi accompagneresti a casa? -
- Certo, tesoro. -
Mette in moto e partiamo.
Ridacchiando, getto un’ occhiata al bicchiere della mia Harp strong, dimezzato; mi schernisco:
- Ma non è vero, Sandra, tu ed io non abbiamo avuto molte occasioni per parlare, così, a quattr’ occhi, e poi, con questo casino, che discorsi seri vuoi fare? -
Il pub, effettivamente, è affollato: militari rumorosamente in cerca di compagnia, Inglesine con la stessa intenzione, ma più discrete, Irlandesi ubriachi lerci.
- Guarda che sei stato tu a dirmi “ ti porto in un pub carinissimo dove spillano la birra più buona di Roma “ -
- Ma infatti. Perché, non ti piace questa birra? - non riesco a non ridere.
- Stupido! Ecco, lo vedi? -
- D’ accordo, d’ accordo. Parliamo seriamente. Parlami di te. - trattenendo a stento il riso con i denti.
Lei comincia a parlare, intermezzando disavventure sentimentali a lunghe sorsate di birra.
Io mi accendo una sigaretta, distratto.
Va bene che a Roma non c’é quasi più nessuno, che alla TV non c’ era un film accettabile, che avevo una sete impellente, ma proprio questa idiota dovevo chiamare? Che caspita ci faccio io, qui, adesso?
E mi chiede pure di essere serio!
Beh, ormai la cazzata l’ ho fatta, stiamo al gioco.
Sandra continua a parlare, la voce sempre più “strascicata”, le pause sempre più lunghe; poi, con un’ espressione maliziosa:
- Però, lo sai che non è affatto male, questa birra! - e giù a ridere a crepapelle,
così, all’ improvviso; come davanti ad una smorfia di Toto’.
Io mi guardo intorno, un po' imbarazzato.
- Ehi, tutto bene? - avvicinandomi.
- Si si. Sai, avevi ragione, questa birra è proprio ... - e giù un’ altra risata.
Solo adesso mi accorgo che della sua “media doppio malto” non ne è rimasto che un dito.
- Va bene, adesso andiamo, su... - aiutandola ad alzarsi.
- Si andiamo... - con gli occhi lucidi e ammiccanti: - Guidi tu? -
Puoi giurarci!
- Si, non preoccuparti. - Devo sorreggerla per quanto barcolla.
Lasciamo il locale tra mille occhi divertiti.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
- Senti, ma tu mi trovi ambigua? -
L’ auto è parcheggiata in una viuzza tranquilla, al riparo da sguardi indiscreti.
Sandra sembra aver smaltito la sbornia.
- Ambigua? -
- Si, mi trovi un tipo ambiguo, che so, negli atteggiamenti, o... -
Meglio sbronza: se non altro aveva l’ alibi di uno stato di coscienza alterato; ma come fa ad infilare tante idiozie una dietro l’ altra?!
- Qualcuno ti ha detto che hai degli atteggiamenti ambigui? -
- Si, il dentista. -
Il dentista?!
- Il tuo dentista? -
- Si; durante una seduta, qualche giorno fa. -
Durante una seduta?!
Ma quanto può essere ambiguo, un premolare?!
- Sai, ha cominciato ha fare strani discorsi, su certi miei atteggiamenti... -
Terrificante! Davanti a delle ganasce spalancate, con il gorgoglio del tubicino che risucchiava saliva, gengive sanguinanti, quell’ uomo riusciva a pensare agli “atteggiamenti ambigui” di questa cretina!
Un eroe!
Lei continua a raccontare, ( annichilendo Stephen King ), mentre, con una mossa ben studiata, ruota su se stessa, appoggiando la schiena allo sportello, mettendomisi di fronte, alzando appena la gonna, già corta.
Il mio disagio è ormai evidente.
- Ma cos’ hai, sei nervoso? -
- No, sai, i dentisti mi mettono sempre in agitazione... -
- Su, piantala... vieni qui. - mi prende per le spalle e, con agilità sorprendente
allarga le gambe, mi adagia sul sedile e comincia a massaggiarmi il collo.
- Dio quanto sei teso! -
Altro che teso! La situazione è ad un punto di non ritorno e io, che oltretutto non sono più neanche brillo, non ho nessuna intenzione di arrivare al solito, naturale epilogo di ogni circostanza simile.
Capisco che devo dare fondo a tutte le mie risorse; torno a sedere al mio posto, la guardo tenero e serissimo:
- Sandra, ti ho mai raccontato quello che mi è successo a Beirut? -
- Beirut?! Quando sei stato a Beirut? -
- Nel momento peggiore... - qui mancava solo un “baby” alla fine ed era perfetto.
- Sai, tra l’ ottantadue e l’ ottantaquattro sceglievano alcuni militari di leva,
a caso, e li mandavano in Libano. -
Ma che sto dicendo, questa non sa neanche dove sia, il Libano.
- Nel Libano a fare che? -
E infatti! Ma con chi diavolo sono uscito, con una ragazzina di “non è la rai” ?
Cerco di mantenermi calmo.
- Senti, hai presente la Bosnia? -
- Certo! Dove credi che viva, sulla luna? -
Ora la picchio!!
- Beh, stessa cosa: dieci anni fa, nel Libano c’ era lo stesso casino; a dire la
verità il casino c’ è ancora, ma tra i giornalisti è passato di moda.
Comunque: il nostro Governo decise di mandare un contingente di pace;
così sono partito anch’ io: tre mesi a Beirut ... - lo sguardo perso nei ricordi:
- ... e lì c’ era la guerra, quella vera! - Bogart sarebbe fiero di me.
- Davvero?! -
Presa! Ormai nulla potrebbe distrarla o farla dubitare del racconto.
Libero ogni freno:
- Beh, è chiaro che non eravamo in prima linea; siamo andati come supporto
ai “caschi blu”, te l’ ho detto; comunque, le bombe ti assicuro che le sentivamo.
Un giorno... un brutto giorno eravamo in perlustrazione, un po’ distanti dal
Campo; io mi sono allontanato per qualche metro e ad un tratto...
... l’ esplosione! Il proiettile del mortaio sarà caduto ad una decina di metri; ricordo solo un fischio, un bagliore accecante... poi il buio. -
Sandra sta trattenendo il fiato, non riesce più neanche a fare domande.
Così posso continuare, serissimo:
- Ho perso conoscenza per un paio d’ ore. All’ ospedale del Campo, i medici
mi hanno visitato a lungo, hanno fatto tutti i controlli possibili: nulla; non mi
sono fatto neanche un graffio. -
- Fiuuu... meno male... - riesce a sussurrare.
- Aspetta a dirlo... - qualche secondo di suspense è d’ obbligo.
- Quando sono tornato, finito il militare, mi sono fatto visitare dal mio medico:
era tutto normale... tutto tranne... -
- Cosa?! Dài, non tenermi così! Cosa!? -
- Beh sai, all’ inizio pensavo fosse ancora lo shoc, ma dopo qualche mese ho
cominciato a preoccuparmi... -
- Piantala! Vuoi dirmi che cos’ hai? -
Un profondo sospiro, le sfodero il mio sguardo più vittimistico, e:
- Da allora non riesco più ad avere un’ erezione! -
- Oddio! - e si copre il viso con le mani.
Ho un istante di rimorso; forse ho esagerato... no! Se lo merita!
Lei mi sta guardando, amorevolmente imbarazzata:
- Mi dispiace, mi dispiace veramente; non pensavo... -
- Che vuoi farci. Ho provato di tutto, farmaci, psicoterapia... niente, non
c’è niente da fare.
Comunque, poco tempo fa, mi sono rivolto ad un bravissimo neurologo che
mi ha dato qualche speranza; sto facendo una terapia... vedremo.
Senti Sandra, mi accompagneresti a casa? -
- Certo, tesoro. -
Mette in moto e partiamo.
Le etichette delle camicie

“Scrivo stupidaggini perché non voglio lasciare un segno, voglio essere dimenticato.”
“Allora perché NON scrivi e basta?”
“Beh, non così TANTO dimenticato!”
Il nome di Tiziano Sclavi viene sempre associato a Dylan Dog e giustamente. L’ingresso dell’”indagatore dell' incubo” nel mondo dei fumetti è stato travolgente; un macigno in uno stagno. Quanto di più innovativo ci sia stato negli ultimi vent’anni, nei contenuti e nei codici.
Ma l’Autore ha scritto anche alcuni romanzi, sempre sul genere noir-horror. Tutti tranne questo.
Attorno alla redazione di una casa editrice di fumetti si intrecciano le storie, i piccoli episodi quotidiani dei protagonisti.
Leit motiv del romanzo il dialogo che si svolge in una trattoria tra uno di loro e la ragazza appena conosciuta. Lui è brillante e nevrotico, un po’ ansioso, lei, carina e accogliente. L’atmosfera è comunque idilliaca.
Parallelamente, vediamo spezzoni di vita, sentimentale e non, degli altri “fumettari” Ognuno con le proprie idiosincrasie, le depressioni e le gioie tipiche degli “over 30”. In sottofondo: la solitudine, o, meglio, la paura della solitudine che li accompagna.
Ciò che li accomuna è uno stato diffuso di insoddisfazione e, soprattutto, insofferenza verso la stupidità, la banalità, la volgarità che li (ci) circonda. E di volgarità e stupidità, in questo periodo
ce n’è ovunque a iosa.
Tommaso è indietro di alcune “tavole” che non ha alcuna voglia di fare; ogni tanto si affaccia in redazione giusto per assicurarsi di avere ancora un lavoro e lamentarsi coi colleghi, che a loro volta colgono l’occasione per lamentarsi con lui. Non ha una ragazza e ne soffre.
Cohan riceve una telefonata da un’ammiratrice che sta scrivendo una tesi su di lui. Finge di schernirsi ma alla fine la invita a casa per “un’intervista”. I due finiranno col mettersi insieme.
Nella trattoria, tra spaghetti aglio e olio e pappardelle al sugo di lepre, la conversazione scivola via, ironica e confidenziale. Lui accenna alle proprie crisi depressive:
“……Questi sbalzi di umore. Andavo su e giù ad una velocità incredibile. Ero una montagna russa.”
“ E adesso?….”
“ Bah, forse un po’ meno. Una montagna polacca.”
……E così via…..
“ Tiziano Sclavi, questa volta, ha spento gli incubi per accendere i sogni.”
Spot
domenica 18 maggio 2008
Daniel Pennac

Quando un professore di lettere si mette a scrivere romanzi possono accadere due cose: o ci ammorba con sterili esercizi di stile (non tutti si chiamano Quenau) o
esprime il meglio di sé, cosa che in aula non gli è permesso.
Pennac rientra decisamente nella seconda categoria.
Fine ed intelligente pedagogo, raccontando storie, ci spiega cosa vuol dire “formare” i ragazzi e trasmettere la conoscenza. La trasmissione della conoscenza, in questi tempi molto “tecnici” e veloci, assume un ruolo fondamentale ed è sottovalutata.
Quando “la tribù Melaussène”, priva della TV, si ritrova unita, la sera, ad ascoltare le storie di Benjamin, ci riporta ad una “tradizione orale” ormai perduta.
Benjamin Melaussène deve mantenere uno stuolo di fratelli minori, ognuno con caratteristiche quantomeno particolari: Therese ha provate doti di veggenza, “il Piccolo” soffre di incubi, il cane Julius è epilettico…..
Di professione fa il “capro espiatorio” : geniale! L’intelligenza e la sensibilità di Ben lo inducono ad un’empatia verso il prossimo che non ha eguali.Il “nostro” viene a trovarsi sempre al centro di complicate situazioni poliziesche: bombaroli, serial killer, vecchietti drogati, maniaci di ogni genere. Per una serie di circostanze rocambolesche, da buon “capro espiatorio”, tutti gli indizi lo indicano come il colpevole. Da ciò nasce uno strano rapporto con il commissario di zona, uno “sbirro” stranamente intelligente, che, contro ogni evidenza, si convince dell’innocenza di Ben.
La famiglia Melaussène vive a Belleville, il quartiere arabo di Parigi e Ben (la cui madre è sempre in giro per il mondo con l’ultima “fiamma”) è stato “adottato” da
un gruppo di arabi che hanno un ristorante sotto casa. Il rapporto con Hadouch, Amar e gli altri ha qualcosa di “poetico” e Pennac ci offre un anacronistico esempio di “integrazione”. Ci regala uno spaccato della saggezza dell’Islam….ma questo è un altro discorso…..
Due parole meritano gli uomini del commissario Rabdomant: gli ispettori Van Thian e Pastor: il primo è Tonchinese, anziano, minuto e con una mira infallibile; l’altro è giovane, indossa dei larghi maglioni di lana su una faccia d’angelo, ed è famoso per gli interrogatori ai quali nessuno resiste: ha un metodo.
Dopo ogni interrogatorio, portato a termine con successo, Paster è “sfatto”, cadaverico e il vecchio collega gli racconta una barzelletta per “tirarlo su”.
Ed è con una di queste che termino il profilo.
“C’è un alpinista che cade, precipita, precipita. La corda si spezza e si attacca con la punta delle dita ad una piattaforma di granito coperta di ghiaccio, sotto di lui: duemila metri di vuoto. Il tipo, dopo un attimo, con una vocina sottile, domanda:” C’è nessuno?” Niente. Ripete, più forte: ”C’è qualcuno?!”
Una voce profonda sorge dal nulla: “Si, ci sono io, Dio!”
L’alpinista aspetta, col cuore che batte e le dita congelate.
La voce riprende: “Se hai fiducia in me, molla quella fottuta piattaforma. Ti mando due angeli che ti prenderanno in pieno volo!”
Il picolo alpinista riflette un attimo, poi, nel silenzio di nuovo siderale, domanda: “C’è qualcun altro?”
la prova
Apro gli occhi un istante prima che la sveglia cominci a suonare.
Sei e trenta del mattino. Cristo! Il pensiero che dovrò cominciare a farlo tutti i giorni mi schiaccia sul materasso: lo allontano saltando fuori dal letto, fin troppo rapidamente: inciampo sul comodino e la seconda bestemmia della giornata mi accompagna fino in bagno.
Prima di uscire do una sbirciata allo specchio: capelli corti, ben rasato, camicia stirata... sì, ho decisamente l’aria del bravo ragazzo. Sveglio e volenteroso.
Più che altro volenteroso.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
L’autobus è affollato, ma le tre ragazze ROM riescono ugualmente a salire; tra i passeggeri cominciano i primi borbottii e “arricciamenti di naso”.
Davanti la porta centrale, una signora, grassa e volgare, mi guarda con acida complicità:
- Potrebbero starsene a casa loro! -
Ma quale casa, se sono nomadi, IMBECILLE!
- E poi vengono qui, a sporcare e a rubare, no? -
Convinta dei suoi argomenti, mi guarda aspettando un mio assenso; io le rimando un’espressione assolutamente NEUTRA.
Prima di scendere, non soddisfatta, vuole la mia approvazione, mi ripete:
- No? -
Io la fisso a lungo; poi le rispondo un “NO” secco e scendo dall’autobus.
Sono le nove meno cinque quando entro nell’androne del vecchio palazzo, sul lungotevere. Chiedo al portinaio l’interno dello studio del Dottor Piccirilli.
L’ascensore è guasto, per fortuna lo studio è al primo piano.
- Ho un appuntamento col Dottore. -
La ragazza che mi ha aperto è alta, porta capelli lunghi e gonna corta; ha dei grossi occhiali quadrati in montatura rossa:
- Prego, si accomodi; un ATTIMINO che avviso il Dottore. - e pigia un tasto dell’interfono sulla scrivania.
Da una porta sul lungo corridoio, esce un corpulento signore che mi viene incontro sorridente:
- Marco! Che piacere rivederti! Tu non puoi ricordarti, l’ultima volta avrai avuto sei anni! -
- Ehm... già. Come sta? -
- Benone, benone! Senti, ti dispiace attendermi solo un istante? -
- Ma si figuri! -
Il tipo rientra nella stanza.
Squilla il telefono, la ragazza risponde:
- Si? Si, un ATTIMINO solo. -
E DUE!
La osservo, dietro la scrivania, e mi domando se, per le segretarie, gli occhiali siano richiesti quale requisito indispensabile per l’assunzione.
Suona l’interfono, lei si alza e, incamminandosi per il corridoio, mi sorride:
- Mi scusi un ATTIMINO. -
E TRE! Quanto reggerò?
Nel frattempo entra un ragazzo. Avrà circa ventidue anni; indossa un completo blu, camicia azzurrina e cravatta bordeaux; la ventiquattr ’ore stretta nella destra, il “cellulare” nella sinistra, (quando si dice raggiungere il proprio equilibrio...).
La segretaria, tornando, lo accoglie con un largo sorriso, (troppo largo, perfino per quella bocca); lo fa entrare nella stanza di Piccirilli.
Poi sembra ricordarsi della mia presenza:
- E’ questione di un ATTIMINO. -
E QUATTRO!
Dopo cinque minuti mi alzo:
- Senta, dica al Dottore che ripasso... -
- Ma no, aspetti... -
- No, non fa nulla. Lo richiamo io. Arrivederci. -
Sto per aprire la porta quando mi blocco, ritorno indietro, le sorrido amabilmente:
- Senta, me lo farebbe un favore personale? -
- Ma certo, dica pure. -
- Potrebbe NON dire: UN ATTIMINO?! -
Lei mi fissa stupefatta mentre guadagno l’uscita, defilandomi.
Appena in strada tiro un sospiro di sollievo.
Che dirò a papà?
Beh, quando mi chiederà spiegazioni, gli risponderò che devo pensarci...
...UN ATTIMINO.
Sei e trenta del mattino. Cristo! Il pensiero che dovrò cominciare a farlo tutti i giorni mi schiaccia sul materasso: lo allontano saltando fuori dal letto, fin troppo rapidamente: inciampo sul comodino e la seconda bestemmia della giornata mi accompagna fino in bagno.
Prima di uscire do una sbirciata allo specchio: capelli corti, ben rasato, camicia stirata... sì, ho decisamente l’aria del bravo ragazzo. Sveglio e volenteroso.
Più che altro volenteroso.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
L’autobus è affollato, ma le tre ragazze ROM riescono ugualmente a salire; tra i passeggeri cominciano i primi borbottii e “arricciamenti di naso”.
Davanti la porta centrale, una signora, grassa e volgare, mi guarda con acida complicità:
- Potrebbero starsene a casa loro! -
Ma quale casa, se sono nomadi, IMBECILLE!
- E poi vengono qui, a sporcare e a rubare, no? -
Convinta dei suoi argomenti, mi guarda aspettando un mio assenso; io le rimando un’espressione assolutamente NEUTRA.
Prima di scendere, non soddisfatta, vuole la mia approvazione, mi ripete:
- No? -
Io la fisso a lungo; poi le rispondo un “NO” secco e scendo dall’autobus.
Sono le nove meno cinque quando entro nell’androne del vecchio palazzo, sul lungotevere. Chiedo al portinaio l’interno dello studio del Dottor Piccirilli.
L’ascensore è guasto, per fortuna lo studio è al primo piano.
- Ho un appuntamento col Dottore. -
La ragazza che mi ha aperto è alta, porta capelli lunghi e gonna corta; ha dei grossi occhiali quadrati in montatura rossa:
- Prego, si accomodi; un ATTIMINO che avviso il Dottore. - e pigia un tasto dell’interfono sulla scrivania.
Da una porta sul lungo corridoio, esce un corpulento signore che mi viene incontro sorridente:
- Marco! Che piacere rivederti! Tu non puoi ricordarti, l’ultima volta avrai avuto sei anni! -
- Ehm... già. Come sta? -
- Benone, benone! Senti, ti dispiace attendermi solo un istante? -
- Ma si figuri! -
Il tipo rientra nella stanza.
Squilla il telefono, la ragazza risponde:
- Si? Si, un ATTIMINO solo. -
E DUE!
La osservo, dietro la scrivania, e mi domando se, per le segretarie, gli occhiali siano richiesti quale requisito indispensabile per l’assunzione.
Suona l’interfono, lei si alza e, incamminandosi per il corridoio, mi sorride:
- Mi scusi un ATTIMINO. -
E TRE! Quanto reggerò?
Nel frattempo entra un ragazzo. Avrà circa ventidue anni; indossa un completo blu, camicia azzurrina e cravatta bordeaux; la ventiquattr ’ore stretta nella destra, il “cellulare” nella sinistra, (quando si dice raggiungere il proprio equilibrio...).
La segretaria, tornando, lo accoglie con un largo sorriso, (troppo largo, perfino per quella bocca); lo fa entrare nella stanza di Piccirilli.
Poi sembra ricordarsi della mia presenza:
- E’ questione di un ATTIMINO. -
E QUATTRO!
Dopo cinque minuti mi alzo:
- Senta, dica al Dottore che ripasso... -
- Ma no, aspetti... -
- No, non fa nulla. Lo richiamo io. Arrivederci. -
Sto per aprire la porta quando mi blocco, ritorno indietro, le sorrido amabilmente:
- Senta, me lo farebbe un favore personale? -
- Ma certo, dica pure. -
- Potrebbe NON dire: UN ATTIMINO?! -
Lei mi fissa stupefatta mentre guadagno l’uscita, defilandomi.
Appena in strada tiro un sospiro di sollievo.
Che dirò a papà?
Beh, quando mi chiederà spiegazioni, gli risponderò che devo pensarci...
...UN ATTIMINO.
martedì 6 maggio 2008
biografie inattendibili
Gli sfiorati

Al risveglio si ritrova una noce di cocco nel letto. Interamente vestito, sotto le coperte, Méte si chiede cosa sia successo, la sera prima, che abbia condotto a tali circostanze.
Una breve e veloce panoramica ci introduce i personaggi de “Gli sfiorati”, di Sandro Veronesi.
Una coppia di solerti domestici filippini; un orfano scaltro e determinato; un mastodontico, verace ed incorruttibile attore teatrale; un uomo che non conosce responsabilità né colpa. Ma, soprattutto, Belinda, bionda, bellissima e “schiumevole”.
Méte, il giovane protagonista, si muove nei salotti, nei locali e nelle strade della media borghesia romana. Inquieto, scostante e in conflitto con il padre vedovo e appena risposato, il ragazzo attraversa le giornate e, soprattutto, le notti, accompagnato da pochi amici e da un “pensiero dominante”.
Le ore notturne possono essere veramente lunghe quando sono scandite da una passione lacerante: non ci sono scappatoie né vie di fuga. Perché il nostro ragazzo, ventisettenne, studioso di grafologia, è in fuga.
Méte ha ricevuto un “regalo” dalla matrigna recentemente acquisita, come una singolare “dote” portata dalla donna al figlio dell’uomo che ha appena sposato.
Per tutta la durata del viaggio di nozze dei maturi “novelli sposi” , Belinda, la giovane figlia di Virna, andrà a stare a casa di Méte, il quale cercherà disperatamente ogni pretesto per evitare qualsiasi contatto dall’ oggetto amato.
“Basta davvero passare da un grembo all’altro per tenersi lontani dall’unico che reca tormento?”
Una passione incoffessata, una gioventù senza riferimenti, una città uterina, e last but not least, il perenne conflitto con il padre, sono gli ingredienti del romanzo scritto dal giovane autore toscano dieci anni fa e ristampato da Mondadori grazie al “premio Viareggio”, vinto anni fa da Veronesi con “La forza del passato”.
Sandro Veronesi, guadagnata la ribalta con “Venite venite B52”, riesce sempre a stupirci, intrigarci e soddisfarci. Una prosa ricca di sfumature e dettagli, che mette a nudo ogni approssimazione della realtà quotidiana, cogliendone aspetti spesso ignorati. Una scrittura “esatta”, racconti che mescolano, in giusta dose, paesaggi sociologici e complicate geometrie psicologiche.
Sempre presente, con una puntalità ossessiva, il conflitto con il padre…..ma questa è materia per gli psicanalisti.
Leggete “Gli sfiorati”, leggetelo con attenzione e scoprirete come sia sempre troppo superficiale il nostro sguardo sulle cose.
mansioni
La lancetta del serbatoio è al di sotto del “rosso”; lo faccio notare ad Alessandra, che non si preoccupa più di tanto:
- Una volta, in queste condizioni, ho fatto trenta chilometri. -
Appoggio, sconsolato, la testa al finestrino:
- See... -
Sono le nove di sera, la strada che percorriamo è costellata di distributori, ma gli unici “24 ORE” sono sull’ altra carreggiata.
Dopo un’inversione ad “U” al limite del ritiro della patente, affianchiamo la pompa di benzina.
Il ragazzo dalla pelle scura si avvicina sorridente, Ale gli porge le chiavi:
- Diecimila. -
Il tipo “armeggia” con il tappo del serbatoio: è decisamente in difficoltà:
Lo faccio notare ad Ale:
- Dici sempre che è difettoso, perché non scendi a dargli una mano? -
- Ma stai scherzando? E’ il suo lavoro! -
IL SUO LAVORO!?
Sono decisamente perplesso.
- Ma, poverino, cosa vuoi che ne sappia? -
Niente. Lei è assolutamente convinta che la cosa sia di sua competenza.
Il ragazzo riesce ad aprire, fa benzina e tenta di riavvitare il tappo che proprio non ne vuol sapere; dopo un po’ sollecito Ale a scendere per dargli una mano.
La scena è desolante: Ale forza, con rabbia, il tappo del serbatoio, la chiave è incastrata, l’extracomunitario la guarda con un sorriso imbarazzato; lei è ormai imbestialita, suda e impreca all’indirizzo del tappo.
Il ragazzo non ha dismesso quella maschera un po’ tesa e sorridente che ha dall’inizio della vicenda.
Scendo, lancio un’occhiata rassicurante al ragazzo e provo a richiudere il maledetto tappo del serbatoio: niente da fare.
Comincio ad innervosirmi anch’io; poi, Ale mi spintona via indelicatamente, infila il tappo con decisione, lo chiude e risale in auto.
Sorrido. Allungo mille lire al ragazzo di colore che le afferra come qualcosa alla quale aveva ormai rinunciato.
Lo saluto ed entro in macchina, chiedendomi come si sentirebbe, lui, in uno studio da commercialista.
Ale parte, un po' alterata:
- Non capisco come possano essere così incompetenti! E poi, perché gli hai dato la mancia? -
Il dubbio, che prima mi aveva solo sfiorato, è ormai una certezza!
Voglio solo una conferma:
- Con che cosa credi che campi? -
- Ma come?! Con lo stipendio, no? -
La fisso un lungo istante: non c’è un’ombra di incertezza in quello sguardo.
- Ma quale stipendio?! - E comincio a ridere.
- Lo stipendio che gli dà il benzinaio per stare lì la notte. -
Sto soffocando dalle risate, è troppo divertente per fermarla.:
- Il benzinaio, eh? -
- Certo. -
- E perché diavolo il benzinaio dovrebbe pagarlo? -
- Perché c’è un sacco di gente che rinuncia ad usare i self-service, perché non è capace o non ne ha voglia... -
E’ assolutamente irresistibile; sono piegato in due.
- Ma che hai tanto da ridere? -
Tra le lacrime cerco di spiegarle il reale meccanismo della faccenda.
- Ma dai, veramente? Io ho sempre creduto.... -
- Guarda che è verde. - indicandole il semaforo.
Ingrana la prima e ripartiamo.
- Una volta, in queste condizioni, ho fatto trenta chilometri. -
Appoggio, sconsolato, la testa al finestrino:
- See... -
Sono le nove di sera, la strada che percorriamo è costellata di distributori, ma gli unici “24 ORE” sono sull’ altra carreggiata.
Dopo un’inversione ad “U” al limite del ritiro della patente, affianchiamo la pompa di benzina.
Il ragazzo dalla pelle scura si avvicina sorridente, Ale gli porge le chiavi:
- Diecimila. -
Il tipo “armeggia” con il tappo del serbatoio: è decisamente in difficoltà:
Lo faccio notare ad Ale:
- Dici sempre che è difettoso, perché non scendi a dargli una mano? -
- Ma stai scherzando? E’ il suo lavoro! -
IL SUO LAVORO!?
Sono decisamente perplesso.
- Ma, poverino, cosa vuoi che ne sappia? -
Niente. Lei è assolutamente convinta che la cosa sia di sua competenza.
Il ragazzo riesce ad aprire, fa benzina e tenta di riavvitare il tappo che proprio non ne vuol sapere; dopo un po’ sollecito Ale a scendere per dargli una mano.
La scena è desolante: Ale forza, con rabbia, il tappo del serbatoio, la chiave è incastrata, l’extracomunitario la guarda con un sorriso imbarazzato; lei è ormai imbestialita, suda e impreca all’indirizzo del tappo.
Il ragazzo non ha dismesso quella maschera un po’ tesa e sorridente che ha dall’inizio della vicenda.
Scendo, lancio un’occhiata rassicurante al ragazzo e provo a richiudere il maledetto tappo del serbatoio: niente da fare.
Comincio ad innervosirmi anch’io; poi, Ale mi spintona via indelicatamente, infila il tappo con decisione, lo chiude e risale in auto.
Sorrido. Allungo mille lire al ragazzo di colore che le afferra come qualcosa alla quale aveva ormai rinunciato.
Lo saluto ed entro in macchina, chiedendomi come si sentirebbe, lui, in uno studio da commercialista.
Ale parte, un po' alterata:
- Non capisco come possano essere così incompetenti! E poi, perché gli hai dato la mancia? -
Il dubbio, che prima mi aveva solo sfiorato, è ormai una certezza!
Voglio solo una conferma:
- Con che cosa credi che campi? -
- Ma come?! Con lo stipendio, no? -
La fisso un lungo istante: non c’è un’ombra di incertezza in quello sguardo.
- Ma quale stipendio?! - E comincio a ridere.
- Lo stipendio che gli dà il benzinaio per stare lì la notte. -
Sto soffocando dalle risate, è troppo divertente per fermarla.:
- Il benzinaio, eh? -
- Certo. -
- E perché diavolo il benzinaio dovrebbe pagarlo? -
- Perché c’è un sacco di gente che rinuncia ad usare i self-service, perché non è capace o non ne ha voglia... -
E’ assolutamente irresistibile; sono piegato in due.
- Ma che hai tanto da ridere? -
Tra le lacrime cerco di spiegarle il reale meccanismo della faccenda.
- Ma dai, veramente? Io ho sempre creduto.... -
- Guarda che è verde. - indicandole il semaforo.
Ingrana la prima e ripartiamo.
lunedì 28 aprile 2008
Testamento

Ora che sogni e memorie
sono appese allo stesso,
sottilissimo filo;
ora che alba e crepuscolo
si alternano, indefiniti,
con lo stesso chiarore;
ora che gioia e dolore
danzano, avvinti, in
un’unica anima tollerante;
ora che passione e accidia
giacciono, gemelle, nella
stessa, gelida tomba,
ORA, VI PREGO,
lasciatemi a questa lenta eutanasia,
inebriata da note jazz,
addolcita da dotta letteratura,
confusa tra fugaci baldacchini.
Vi lascio IL NULLA che
già tutti possedete.
Venticinque minuti
La Camel che stringo tra le dita si va consumando lentamente, mentre alla TV, due imbecilli, seduti in una trattoria, scoprono di avere gli stessi gusti in fatto di acqua minerale: a lui piace frizzante, a lei, naturale: come la Gioconda.
Squilla il telefono:
-Pronto Marco? - La “R” dura, “francese”, di Cristiano, mi risolleva un po’ il morale:
- Ciao! -
- Senti, ho una proposta per stasera: un teatro, venticinque minuti. -
- Venticinque minuti? -
- Si; uno spettacolo di venticinque minuti! -
- E di che si tratta? -
- Ma... non lo so, veramente... -
- Come non lo sai, Criss?! -
- Ma che ti frega, dura solo venticinque minuti; è questo il bello! -
- Hai ragione: venticinque minuti si “reggono”, qualunque stronzata sia. -
- D’accordo allora: alle dieci esatte; dalle dieci alle dieci e venticinque. Ciao. -
La stradina è buia, vicino S.Pietro, l’ingresso del teatro, ancora più buio. Entriamo.
Sono le 22:05 : ci affrettiamo, preoccupati di aver perso ben un quinto dell’intero spettacolo. Ci accolgono due ragazzi dall’aria “alternativa”.
- E’ già cominciato? - chiede Criss, un po’ansioso.
I due si guardano, perplessi:
- No. Veramente siete i primi. -
Lancio a Criss un’occhiata eloquente.
Loro staccano due biglietti, riservandosi di rimborsarci qualora lo spettacolo non dovesse andare in scena.
Noi non ci perdiamo d’animo, prendiamo il programma ed entriamo nella minuscola sala.
- Se entro cinque minuti non arriva nessuno, ce ne andiamo. -
- D’accordo. -
Nel frattempo, alle nostre spalle, entra un tipo: con fare circospetto va a sedersi in prima fila, sulla destra.
Un attimo dopo arriva una giovane coppia; il tipo in prima fila si volta e li saluta cordialmente, mentre i due lo raggiungono.
Cinque persone in sala. Bene.
Il ragazzo del botteghino si affaccia e ci fa un cenno per dire: “tutto a posto.”
Lo spettacolo non è male: le “schermaglie” amorose di due giovani, nella Venezia settecentesca. In dialetto, ovviamente. Però comprensibile.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Ci incamminiamo verso la birreria dove ci attende Alessandra.
- Lunedì si avvicina, eh? -
- Non mi ci far pensare, ho attacchi d’ansia ogni mezz’ora! -
- Sta’ tranquillo, sarà una stronzata, vedrai; e poi, non è un amico di tuo padre?
- Si, però... -
- E comunque, all’inizio, qualsiasi cosa ti serva.... -
- Lo so, lo so: grazie: -
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
La birreria è semivuota, Alessandra ci fa un cenno con la mano.
Tra una Guinnes e l’altra, facciamo l’una.
Usciamo. Via della Conciliazione è deserta.
All’ improvviso, un ragazzo - calzoncini corti a fiori, borraccia e macchina fotografica appese al collo - sbucato da non si sa dove, ci si para davanti.
- Parlez vous francais? -
Ci guardiamo interdetti: Criss sta “rispolverando” il suo inglese, io ho dimenticato il mio ed Ale ha abbandonato il francese da tempo.
Il ragazzo ci chiede una sigaretta, col classico gesto universale; poi, tra frammenti di inglese di Criss e varie mimiche facciali, crediamo di capire che desidera andare in Vaticano.
- Vatican? -
- Yes! -
Non c’è alcun dubbio: non gli basta vedere S.Pietro, ben illuminata, con le fontanelle zampillanti, vuole proprio entrare in Vaticano.
Criss gli fa presente che è l’una di notte e ci sono due grossi Svizzerotti, con tanto di elmo ed alabarda, che non hanno un gran senso dell ’humour.
Il Francese ci guarda perplesso, evidentemente non capisce il perché di tanto “fiscalismo”. Io mi avvicino, tentando di fiutare tracce d’alcool nel suo alito, mentre questi estrae dalla borsa uno spray: - Ma io ho questa! - (in francese, naturalmente.).
Criss e Ale sono sempre più confusi; a me basta una rapida occhiata per capire che si tratta di una di quelle bombolette spray anti-aggressione, tanto in voga in Francia ma assolutamente illegali da noi.
- Oh, - sorride il ragazzo - it’s a joke... -
Nel frattempo sentiamo delle urla: tre ragazzini corrono verso di noi. Affannata e con forte accento americano, la più grandicella si rivolge ad Ale: - Do you speak English?- Gli Americani sono famosi per capacità di centrare i bersagli!
- No. Parla con loro! - ribatte Ale, indicando noi; mentre gli altri due continuano a chiamare:
- Alvin! Alvin!... - correndo intorno, la ragazzina ci spiega che hanno perso un loro amico: grasso e con gli occhiali (i gesti sono inequivocabili). Il Francese è ancora lì con il suo spray. E’ troppo! Salutiamo la piccola folla e guadagniamo la macchina.
Dopo aver transitato per vari “sensi unici”, ripassiamo per Via della Conciliazione:
i ragazzini americani sono ancora lì che corrono tra una viuzza e l’altra.
Mi sporgo dal finestrino:
- Did you find him?! -
- No! - mi gridano di rimando.
- Beh, - rimettendomi comodamente a sedere - cercatelo meglio... -
- Alvin!... Alvin!... -
Squilla il telefono:
-Pronto Marco? - La “R” dura, “francese”, di Cristiano, mi risolleva un po’ il morale:
- Ciao! -
- Senti, ho una proposta per stasera: un teatro, venticinque minuti. -
- Venticinque minuti? -
- Si; uno spettacolo di venticinque minuti! -
- E di che si tratta? -
- Ma... non lo so, veramente... -
- Come non lo sai, Criss?! -
- Ma che ti frega, dura solo venticinque minuti; è questo il bello! -
- Hai ragione: venticinque minuti si “reggono”, qualunque stronzata sia. -
- D’accordo allora: alle dieci esatte; dalle dieci alle dieci e venticinque. Ciao. -
La stradina è buia, vicino S.Pietro, l’ingresso del teatro, ancora più buio. Entriamo.
Sono le 22:05 : ci affrettiamo, preoccupati di aver perso ben un quinto dell’intero spettacolo. Ci accolgono due ragazzi dall’aria “alternativa”.
- E’ già cominciato? - chiede Criss, un po’ansioso.
I due si guardano, perplessi:
- No. Veramente siete i primi. -
Lancio a Criss un’occhiata eloquente.
Loro staccano due biglietti, riservandosi di rimborsarci qualora lo spettacolo non dovesse andare in scena.
Noi non ci perdiamo d’animo, prendiamo il programma ed entriamo nella minuscola sala.
- Se entro cinque minuti non arriva nessuno, ce ne andiamo. -
- D’accordo. -
Nel frattempo, alle nostre spalle, entra un tipo: con fare circospetto va a sedersi in prima fila, sulla destra.
Un attimo dopo arriva una giovane coppia; il tipo in prima fila si volta e li saluta cordialmente, mentre i due lo raggiungono.
Cinque persone in sala. Bene.
Il ragazzo del botteghino si affaccia e ci fa un cenno per dire: “tutto a posto.”
Lo spettacolo non è male: le “schermaglie” amorose di due giovani, nella Venezia settecentesca. In dialetto, ovviamente. Però comprensibile.
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Ci incamminiamo verso la birreria dove ci attende Alessandra.
- Lunedì si avvicina, eh? -
- Non mi ci far pensare, ho attacchi d’ansia ogni mezz’ora! -
- Sta’ tranquillo, sarà una stronzata, vedrai; e poi, non è un amico di tuo padre?
- Si, però... -
- E comunque, all’inizio, qualsiasi cosa ti serva.... -
- Lo so, lo so: grazie: -
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La birreria è semivuota, Alessandra ci fa un cenno con la mano.
Tra una Guinnes e l’altra, facciamo l’una.
Usciamo. Via della Conciliazione è deserta.
All’ improvviso, un ragazzo - calzoncini corti a fiori, borraccia e macchina fotografica appese al collo - sbucato da non si sa dove, ci si para davanti.
- Parlez vous francais? -
Ci guardiamo interdetti: Criss sta “rispolverando” il suo inglese, io ho dimenticato il mio ed Ale ha abbandonato il francese da tempo.
Il ragazzo ci chiede una sigaretta, col classico gesto universale; poi, tra frammenti di inglese di Criss e varie mimiche facciali, crediamo di capire che desidera andare in Vaticano.
- Vatican? -
- Yes! -
Non c’è alcun dubbio: non gli basta vedere S.Pietro, ben illuminata, con le fontanelle zampillanti, vuole proprio entrare in Vaticano.
Criss gli fa presente che è l’una di notte e ci sono due grossi Svizzerotti, con tanto di elmo ed alabarda, che non hanno un gran senso dell ’humour.
Il Francese ci guarda perplesso, evidentemente non capisce il perché di tanto “fiscalismo”. Io mi avvicino, tentando di fiutare tracce d’alcool nel suo alito, mentre questi estrae dalla borsa uno spray: - Ma io ho questa! - (in francese, naturalmente.).
Criss e Ale sono sempre più confusi; a me basta una rapida occhiata per capire che si tratta di una di quelle bombolette spray anti-aggressione, tanto in voga in Francia ma assolutamente illegali da noi.
- Oh, - sorride il ragazzo - it’s a joke... -
Nel frattempo sentiamo delle urla: tre ragazzini corrono verso di noi. Affannata e con forte accento americano, la più grandicella si rivolge ad Ale: - Do you speak English?- Gli Americani sono famosi per capacità di centrare i bersagli!
- No. Parla con loro! - ribatte Ale, indicando noi; mentre gli altri due continuano a chiamare:
- Alvin! Alvin!... - correndo intorno, la ragazzina ci spiega che hanno perso un loro amico: grasso e con gli occhiali (i gesti sono inequivocabili). Il Francese è ancora lì con il suo spray. E’ troppo! Salutiamo la piccola folla e guadagniamo la macchina.
Dopo aver transitato per vari “sensi unici”, ripassiamo per Via della Conciliazione:
i ragazzini americani sono ancora lì che corrono tra una viuzza e l’altra.
Mi sporgo dal finestrino:
- Did you find him?! -
- No! - mi gridano di rimando.
- Beh, - rimettendomi comodamente a sedere - cercatelo meglio... -
- Alvin!... Alvin!... -
giovedì 24 aprile 2008
Dylan Thomas

Il maggior poeta del secolo appena trascorso. Un genio indiscusso, indiscutibile.
Quando si dice che i libri vengono scritti col sangue....beh, leggendo le poesie di Thomas ci rendiamo conto della portata di tale affermazione.
L’ultimo dei “maledetti”, Dylan mette nei suoi versi tutta la forza, la passione, la disperazione dell’individuo che non si ritrova nel tempo in cui vive, un outsider che esprime tutto il disagio di un’epoca assolutamente folle.
Nasce nel Galles, il 27 Ottobre 1914 figlio di un insegnante di inglese.
La sua migliore produzione e più feconda produzione è quella che vede la luce tra il 1930 ed il 1934 (tra i 16 e i 19 anni).
Dopo alcune brevi sortite nel giornalismo, nella critica letteraria e nel teatro, il giovane Autore si dedica interamente alla poesia.
Nel 1934 si trasferisce a Londra, vivendo da bohémien con una predisposizione all’alcool (ancora devo conoscere un bravo poeta astemio) che lo porterà alla tomba giovanissimo.
La situazione economica è grave, Dylan vive solo della sua poesia e, si sa, con la poesia lo stomaco non si riempie.
Lavora come sceneggiatore di documentari; nasce la seconda figlia e i soldi non bastano mai.
Viene aperta una sottoscrizione a suo favore da parte dei magiori scrittori e artisti inglesi.
E’ invitato negli Stati Uniti a tenere un ciclo di letture delle sue poesie.
Al contrario di molti suoi colleghi, Dylan ottiene la fama già da vivo: Collected Poems ottiene un successo straordinario e lui diventa il poeta alla moda, coccolato nei salotti e conteso dai colleges.
Ormai, però, il suo alcolismo è cronico e il Poeta passa gran parte del tempo nei bar in compagnia di conoscenti occasionali.
Muore di delirio tremens il 9 novembre 1953.
Nella “bianca” dell’Einaudi potete trovare “Poesie inedite” e “Poesie”
evaso
mercoledì 23 aprile 2008
William Gibson

Al signor William Gibson dobbiamo tutti qualcosa.
Esistono autori che scrivono bei libri, alcuni che ci hanno dato capolavori, con personaggi entrati nel lessico quotidiano, a distanza di secoli. Poi ci sono alcuni che inventano, letteralmente, “mondi”, con regole proprie, personaggi propri, atmosfere proprie.
A Gibson dobbiamo termini quali cyberspazio, hacker, rete, microsoft (ebbene si!).
In un periodo in cui la fantascienza languiva, proponendoci logori duelli tra grandi astronavi, Imperi in procinto di crollare (al momento giusto), alieni insettiformi, ecco apparire “Neuromante”……e tutto cambia!
Niente alieni né viaggi interstellari. La vera guerra si combatte qui, sul nostro pianeta, in un futuro prossimo. L’arma, micidiale, che ci ritroviamo tutti tra le mani, è il PC, il campo di battaglia, la Rete.
Gli eroi di turno sono gli hackers, pirati informatici giovani, veloci, brillanti “cowboys” della consolle che riescono a violare qualsiasi database.
I “cattivi” vengono rappresentati dalle multinazionali con le loro agguerrite difese elettroniche.
I.C.E. sta per Intrusion Countermeasure Electronics ed è il peggior nemico dei cowboys.
Tra pochi anni collegarsi in Rete sarà un’esperienza omnisensoriale. Con un paio di cavetti da attaccarsi alle tempie saremo dentro di essa, nell’enorme flusso di informazioni, con tutto il nostro essere. Realtà Virtuale dunque, anche se tutto ciò che succede nel cyberspazio avrà effetti Reali nel fisico. Un ice può letteralmente bruciare il cervello dell’intruso.
Il mondo sarà diviso tra chi possiede informazioni e chi no. La merce più preziosa (ma a questo punto già ci siamo arrivati) è, appunto, l’ Informazione.
Gli eroi di Gibson sono mercenari al soldo ora dell’una ora dell’altra Compagnia, a seconda delle necessità. A volta il committente è la Yakuza, la potente mafia giapponese.
Quando non è collegato in Rete, il nostro cowboy è depresso e si muove in “agglomerati” metropolitani, dove l’atmosfera è sempre un po’ cupa, umida di smog, alla “Blade Runner”. Passa le serate in fumosi pub dove si ritrovano i “veterani” e si possono scoltare le loro incredibili imprese, alcune leggendarie.
In realtà Gibson non sta “inventando” proprio nulla, ma sta “semplicemente accelerando la linea di sviluppo del nostro presente, non riconoscendolo più come tale ma come passato prossimo”
Secondo Marshall McLuhan è il modo di comunicare che determina i cambiamenti epocali. La definizione “post industriale” non è più soddisfacente, ormai siamo entrati nell’era informatica e Gibson ne è il “cantore” più autorevole.
Tra entusiasti ed acritici apologeti come Nicolas Negrophonte e Cassandre apocalittiche come
Neil Postman, il “nostro” è un sereno osservatore che ci dice: “Signori, questo è ciò che ci aspetta, prendetene atto e preparate le contromosse.”.
William Gibson è nato nel 1948 e vive a Vancouver.
Il suo primo romanzo “Neuromante” è il manifesto cyberpunk, ha vinto il premio Hugo e Nebula, pubblicato dalla “Nord”.
Nella Mondadori potete trovare la raccolta di racconti ”La notte che bruciammo Chrome” (da Johnny Mnemonic è stato tratto un film).
“Giù nel cyberspazio” , “Monna Lisa Cyberpunk”, “Luce virtuale”, “Idoru” e l’ultimo “American Acropolis”.
martedì 22 aprile 2008
Lettere a un giovane poeta

La tentazione (forte, peraltro) è quella di dire: leggetelo, punto e basta. Ma temo che il mio webmaster non sarebbe d’accordo. Quindi, con un certo imbarazzo, spenderò due parole su di un classico intramontabile.
Scrivere è una necessità, intima, insopprimibile.
Si possono spiegare ( e apprendere) grammatica e sintassi, ma non è possibile trasmettere un bisogno, una passione.
Il giovane Franz Xavier Kappus, alle prime armi con la penna, chiede consigli al grande Rainer Maria Rilke e gli sottopone i suoi primi lavori.
Il poeta, con un’umiltà sconosciuta ai più, comincia un carteggio con il ragazzo e la poesia diventa un punto di partenza per alcune semplici quanto essenziali considerazioni sull’esistenza.
Rilke, con un linguaggio semplice e diretto, vola alto: -….Sforzatevi di amare i vostri stessi problemi….Non cercate per il momento delle risposte, che non possono esservi date, perché non sapreste metterle in pratica, “viverle”. E, precisamente, si tratta di vivere tutto. –
Uno scrittore deve comprendere le proprie necessità di scrittura e, in base a queste, affinare i propri mezzi espressivi, con molta pazienza e prudenza, senza fretta.
Deve ascoltare il proprio mondo, lasciarlo parlare a lungo prima di arrischiarsi a raccontarlo.
L’Auture non si risparmia, parla al giovane con sincerità e senza affettazione. Questo è ciò che pensa della critica e dell’estetica: “Sono prodotti di spiriti faziosi, pietrificati, privi di senso nella loro rigidezza senza vita, oppure abili giochi di parole.”
Scrivere è davvero difficile: si ha davanti il mondo, il linguaggio e sé stessi. Ognuno di questi elementi è regolato da norme proprie e si tratta di trovare il modo di raccontare una storia che ha, a sua volta, regole proprie. Si tratta di far andare a nozze il mondo, sé stessi e il linguaggio per trovare una sola regola che si esprime nel racconto.
Scrivere è una necessità, intima, insopprimibile.
Si possono spiegare ( e apprendere) grammatica e sintassi, ma non è possibile trasmettere un bisogno, una passione.
Il giovane Franz Xavier Kappus, alle prime armi con la penna, chiede consigli al grande Rainer Maria Rilke e gli sottopone i suoi primi lavori.
Il poeta, con un’umiltà sconosciuta ai più, comincia un carteggio con il ragazzo e la poesia diventa un punto di partenza per alcune semplici quanto essenziali considerazioni sull’esistenza.
Rilke, con un linguaggio semplice e diretto, vola alto: -….Sforzatevi di amare i vostri stessi problemi….Non cercate per il momento delle risposte, che non possono esservi date, perché non sapreste metterle in pratica, “viverle”. E, precisamente, si tratta di vivere tutto. –
Uno scrittore deve comprendere le proprie necessità di scrittura e, in base a queste, affinare i propri mezzi espressivi, con molta pazienza e prudenza, senza fretta.
Deve ascoltare il proprio mondo, lasciarlo parlare a lungo prima di arrischiarsi a raccontarlo.
L’Auture non si risparmia, parla al giovane con sincerità e senza affettazione. Questo è ciò che pensa della critica e dell’estetica: “Sono prodotti di spiriti faziosi, pietrificati, privi di senso nella loro rigidezza senza vita, oppure abili giochi di parole.”
Scrivere è davvero difficile: si ha davanti il mondo, il linguaggio e sé stessi. Ognuno di questi elementi è regolato da norme proprie e si tratta di trovare il modo di raccontare una storia che ha, a sua volta, regole proprie. Si tratta di far andare a nozze il mondo, sé stessi e il linguaggio per trovare una sola regola che si esprime nel racconto.
Buk

Charles Bukowski
Cosa non si è detto di Charles Bukowski? Tutto ed il suo contrario.
Leggo da una quarta di copertina:”Pubblicò giovanissimo il suo primo racconto, ma fu talmente amareggiato dall’infinita serie di rifiuti che seguirono da divenire alcolista.”
Assurdo! Buk beveva perché gli piaceva. Se mai è esistito qualcuno che se ne sia sempre veramente fregato dei giochini e delle mafiette editoriali, questo era lui.
Un vero outsider, coerente con sé stesso, lui scriveva “di” come viveva, semplicemente. Non ha mai ostentato nessun atteggiamento “bohemienne”, al contrario di tanti altri.
Non a caso, quando si parla di “beat generation”, il suo nome non compare mai.
E giustamente.
Senza nulla togliere ai grandi Keruack, Ginsberg, Ferlighetti etc., Bukowski era semplicemente un uomo che lottava ogni giorno per la sopravvivenza, tra bar malfamati e stanze di quart’ordine in affitto.
Scrivere della VITA, la vita REALE, gli veniva facile, per sua stessa ammissione
Ho amato Henry Chinaski ( lo pseudonimo di ogni racconto).
Ho amato lo scrittore, così autentico, nelle descrizioni, così “nudo e crudo”.
Ho amato un UOMO con un’anima immensa, di una sensibilità oltre ogni confine.
E’ stato tacciato di misoginia. Il solito equivoco di qualche critico impotente, o di qualche femminista analfabeta.
Lui AMAVA le donne come pochissimi uomini sanno fare. Le amava con dedizione e trasporto, con la passione che lo ha sempre contraddistinto; una passione tanto più VERA perché “fisica”.
E’ stato detto del suo scarso impegno politico-sociale.
Tutta la sua opera è centrata sugli emarginati, quelli reali; i tanti, troppi clochards che si barcamenano nelle metropoli. Lui ERA uno di loro e con loro condivideva difficoltà, sofferenza, emarginazione. Più di una volta si è lasciato andare a considerazioni sulla “condizione del genere umano” e, da buon individualista, ne ha tratto le logiche conseguenze: nessun “riscatto collettivo”, uno “status quo” solido e ben difeso, l’umana idiozia al fondo di tutto.
C.B. nacque ad Andernach (Germania) nel 1920, ci rimase fino all’età di tre anni, poi l’America.
“Storie di ordinaria follia”, “Compagno di sbronze”, “Taccuino di un vecchio porco”,
“Musica per organi caldi”, “Panino al prosciutto”, sono alcune raccolte di racconti che hanno scandalizzato tanti ed entusiasmato moltissimi, soprattutto in Europa.
“Post office”, “Factotum”, “Donne”, alcuni dei romanzi.
Da segnalare “Hollywood”, nel quale Buk “…non parla di sesso ed è pacificato, ma non per questo è meno abrasivo nel suo orrore per l’ingiustizia e la violenza…..” parole di fernanda Pivano alla quale dobbiamo la “scoperta italiana” del grande scrittore.
A tutto ciò vanno aggiunte le numerosissime raccolte di poesie.
Bukowski è morto nel marzo del 1994.
Cosa non si è detto di Charles Bukowski? Tutto ed il suo contrario.
Leggo da una quarta di copertina:”Pubblicò giovanissimo il suo primo racconto, ma fu talmente amareggiato dall’infinita serie di rifiuti che seguirono da divenire alcolista.”
Assurdo! Buk beveva perché gli piaceva. Se mai è esistito qualcuno che se ne sia sempre veramente fregato dei giochini e delle mafiette editoriali, questo era lui.
Un vero outsider, coerente con sé stesso, lui scriveva “di” come viveva, semplicemente. Non ha mai ostentato nessun atteggiamento “bohemienne”, al contrario di tanti altri.
Non a caso, quando si parla di “beat generation”, il suo nome non compare mai.
E giustamente.
Senza nulla togliere ai grandi Keruack, Ginsberg, Ferlighetti etc., Bukowski era semplicemente un uomo che lottava ogni giorno per la sopravvivenza, tra bar malfamati e stanze di quart’ordine in affitto.
Scrivere della VITA, la vita REALE, gli veniva facile, per sua stessa ammissione
Ho amato Henry Chinaski ( lo pseudonimo di ogni racconto).
Ho amato lo scrittore, così autentico, nelle descrizioni, così “nudo e crudo”.
Ho amato un UOMO con un’anima immensa, di una sensibilità oltre ogni confine.
E’ stato tacciato di misoginia. Il solito equivoco di qualche critico impotente, o di qualche femminista analfabeta.
Lui AMAVA le donne come pochissimi uomini sanno fare. Le amava con dedizione e trasporto, con la passione che lo ha sempre contraddistinto; una passione tanto più VERA perché “fisica”.
E’ stato detto del suo scarso impegno politico-sociale.
Tutta la sua opera è centrata sugli emarginati, quelli reali; i tanti, troppi clochards che si barcamenano nelle metropoli. Lui ERA uno di loro e con loro condivideva difficoltà, sofferenza, emarginazione. Più di una volta si è lasciato andare a considerazioni sulla “condizione del genere umano” e, da buon individualista, ne ha tratto le logiche conseguenze: nessun “riscatto collettivo”, uno “status quo” solido e ben difeso, l’umana idiozia al fondo di tutto.
C.B. nacque ad Andernach (Germania) nel 1920, ci rimase fino all’età di tre anni, poi l’America.
“Storie di ordinaria follia”, “Compagno di sbronze”, “Taccuino di un vecchio porco”,
“Musica per organi caldi”, “Panino al prosciutto”, sono alcune raccolte di racconti che hanno scandalizzato tanti ed entusiasmato moltissimi, soprattutto in Europa.
“Post office”, “Factotum”, “Donne”, alcuni dei romanzi.
Da segnalare “Hollywood”, nel quale Buk “…non parla di sesso ed è pacificato, ma non per questo è meno abrasivo nel suo orrore per l’ingiustizia e la violenza…..” parole di fernanda Pivano alla quale dobbiamo la “scoperta italiana” del grande scrittore.
A tutto ciò vanno aggiunte le numerosissime raccolte di poesie.
Bukowski è morto nel marzo del 1994.
Dolori sbiaditi
Vecchie storie all’imbrunire;
intuizioni naïf mi sorprendono in
canottiera col detersivo esaurito;
flirtando col telecomando
schivo pensieri logoranti;
concetti ammuffiti e
logiche altezzose oltraggiate da
questo vino indisciplinato.
Figure dozzinali mi lusingano da
ricordi inattendibili.
Ed eccoli, finalmente!
Verdi e curiosi,
ridenti e assetati,
vicini e perplessi,
gli unici occhi in cui possa cullarmi.
L' Olandese e Schopenhauer
L’ Olandese e Schopenhauer
Il monumento è tetro. Nonostante sia ben illuminato, trasmette una sensazione angosciosa, però i gradini non sono sporchi, c’ è poca gente nei paraggi ed il vino è ancora fresco.
Stappiamo la seconda bottiglia.
- Questo è un Pinot di Pinot. - annuncia, trionfante, Federico.
- Ottimo. - replico dopo una lunga sorsata. Passo la bottiglia a Marina.
L’ alcool accelera l ’euforia che mi attraversa le vene; sembriamo usciti da un racconto di Bukowski; lancio un’occhiata ad Antonella: pelliccetta bianca, gonnellina nera, tacchi a spillo... fa niente, lei neanche sa chi sia, C.B.; in compenso mi strappa la bottiglia di mano e tracanna un lungo sorso.
Marina la guarda preoccupata:
- Ti ricordi, vero, di essere astemia? -
- Per stasera farò un’eccezione! - tutta contenta, le gote già arrossate.
- Dobbiamo festeggiare la tua prossima assunzione! - sorridendomi.
- Ma quale assunzione, Antone’! -
Marina insiste:
- Ripensa a quelle rare volte che hai bevuto. -
Federico, al contrario, la incoraggia:
- Dai, che questo l ’ho trafugato dalla cantina di mio padre! - Probabilmente spera di allentarne le “difese”.
Lancio un’occhiata complice a Marina, che mi restituisce un sorriso malizioso.
Antonella comincia a ridacchiare; è difficile rintracciare il senso di quello che dice, perso tra le bollicine del “Pinot”.
La tentazione è veramente forte; mentre Federico prova affettuosi “approcci”, Marina ed io la incalziamo:
- Perché non ci racconti di quella volta che ti sei giocata a carte un ragazzo? -
Il sorriso di Federico è attraversato da una sottile tensione.
Antonella lancia un ‘ occhiata di traverso:
- Marina, glielo hai raccontato tu, vero? - fingendo di rimproverarla.
- Perché, invece, non gli hai detto dell’Olandese? -
- Di chi? - Sardonica, Marina chiede conferma.
- Ma si, non ti ricordi? Come si chiamava... Peter ... Soren...boh... comunque era bellissimo. - e giù un altro sorso. - ... si, stupendo. -
Il sorriso di Federico si fa sempre più “stretto”.
- Ma dai, raccontaci di quel tipo che ti sei giocata a carte! - la incito di nuovo.
- No, non è interessante. L’Olandese, piuttosto; ti ricordi Mari’: bello come il sole e anche colto; gli piaceva la musica classica. -
M’illumino! Marina mi ha già raccontato l’episodio: non me lo perderei per nulla al mondo:
- Ah, gli piaceva la musica classica, eh, e allora? -
Lei comincia a sghignazzare. Marina, infida e spietata, tace e aspetta.
- ...e così ci siamo ritrovati a parlare di musica; io non ci capisco molto, di musica classica, poi; però non potevo sfigurare: quando lui mi chiesto quali autori preferissi ho avuto un attimo di panico, poi mi sono ripresa, gli ho sfoderato un bel sorriso e: “Dunque, Beethoven, Mozart, e...Schopenhauer.” - e comincia a ridere a crepapelle.
Marina mi guarda, soddisfatta; io sono piegato sui gradini a tenermi la pancia; Federico ha una risatina di circostanza.
Antonella continua:
- Ed ero convinta, eh. Poi siamo tornate a casa, ci siamo messe a letto;
dopo un attimo riaccendo la luce sul comodino:
“A Mari’, ma chi era Schopenhauer?” -
Il monumento è tetro. Nonostante sia ben illuminato, trasmette una sensazione angosciosa, però i gradini non sono sporchi, c’ è poca gente nei paraggi ed il vino è ancora fresco.
Stappiamo la seconda bottiglia.
- Questo è un Pinot di Pinot. - annuncia, trionfante, Federico.
- Ottimo. - replico dopo una lunga sorsata. Passo la bottiglia a Marina.
L’ alcool accelera l ’euforia che mi attraversa le vene; sembriamo usciti da un racconto di Bukowski; lancio un’occhiata ad Antonella: pelliccetta bianca, gonnellina nera, tacchi a spillo... fa niente, lei neanche sa chi sia, C.B.; in compenso mi strappa la bottiglia di mano e tracanna un lungo sorso.
Marina la guarda preoccupata:
- Ti ricordi, vero, di essere astemia? -
- Per stasera farò un’eccezione! - tutta contenta, le gote già arrossate.
- Dobbiamo festeggiare la tua prossima assunzione! - sorridendomi.
- Ma quale assunzione, Antone’! -
Marina insiste:
- Ripensa a quelle rare volte che hai bevuto. -
Federico, al contrario, la incoraggia:
- Dai, che questo l ’ho trafugato dalla cantina di mio padre! - Probabilmente spera di allentarne le “difese”.
Lancio un’occhiata complice a Marina, che mi restituisce un sorriso malizioso.
Antonella comincia a ridacchiare; è difficile rintracciare il senso di quello che dice, perso tra le bollicine del “Pinot”.
La tentazione è veramente forte; mentre Federico prova affettuosi “approcci”, Marina ed io la incalziamo:
- Perché non ci racconti di quella volta che ti sei giocata a carte un ragazzo? -
Il sorriso di Federico è attraversato da una sottile tensione.
Antonella lancia un ‘ occhiata di traverso:
- Marina, glielo hai raccontato tu, vero? - fingendo di rimproverarla.
- Perché, invece, non gli hai detto dell’Olandese? -
- Di chi? - Sardonica, Marina chiede conferma.
- Ma si, non ti ricordi? Come si chiamava... Peter ... Soren...boh... comunque era bellissimo. - e giù un altro sorso. - ... si, stupendo. -
Il sorriso di Federico si fa sempre più “stretto”.
- Ma dai, raccontaci di quel tipo che ti sei giocata a carte! - la incito di nuovo.
- No, non è interessante. L’Olandese, piuttosto; ti ricordi Mari’: bello come il sole e anche colto; gli piaceva la musica classica. -
M’illumino! Marina mi ha già raccontato l’episodio: non me lo perderei per nulla al mondo:
- Ah, gli piaceva la musica classica, eh, e allora? -
Lei comincia a sghignazzare. Marina, infida e spietata, tace e aspetta.
- ...e così ci siamo ritrovati a parlare di musica; io non ci capisco molto, di musica classica, poi; però non potevo sfigurare: quando lui mi chiesto quali autori preferissi ho avuto un attimo di panico, poi mi sono ripresa, gli ho sfoderato un bel sorriso e: “Dunque, Beethoven, Mozart, e...Schopenhauer.” - e comincia a ridere a crepapelle.
Marina mi guarda, soddisfatta; io sono piegato sui gradini a tenermi la pancia; Federico ha una risatina di circostanza.
Antonella continua:
- Ed ero convinta, eh. Poi siamo tornate a casa, ci siamo messe a letto;
dopo un attimo riaccendo la luce sul comodino:
“A Mari’, ma chi era Schopenhauer?” -
comunicazione

- D’accordo, ciao papà. - riaggancio la cornetta.
Compongo un altro un numero.
Il barista continua a lanciarmi brevi ed ostili occhiate, mentre Marina mi sta dicendo che non riesce ad uscire di casa.
- Chiama i vigili del fuoco, oppure forza la serratura. -
- Si, scherza, scherza... E’ inutile non ci riesco! E’ già mezzogiorno e sono qui che devo ancora lavarmi i capelli, e sono senza shampoo, e... -
- Senti Marina, questa conversazione mi sembra senza sbocco. -
- Hai ragione. - E riaggancia.
Fisso la cornetta, perplesso; a volte è strana; io le voglio bene, ma certe volte questa donna è veramente strana.
Esco dal bar e vengo aggredito da un vento freddo; freddo ma secco. Mi piace.
Adoro questo clima, è una giornata fantastica: limpida come solo le giornate di fine Gennaio sanno esserlo.
E comunque sono incazzato. Senza motivo. Una rabbia assoluta, pura, cristallina come questa luce di mezzogiorno.
Penso che magari potrei andare a trovarla. le compro lo shampoo, sfondo la porta... a lei basta poco per essere contenta; no, troppo vento per arrivare fin là; inoltre la mia rabbia e la sua pseudo-depressione non raggiungerebbero nessun tipo di accordo.
Antonella mi sta dicendo che fra un’ora Federico ed il fratello saranno qui a prendere i mobili.
- Tutti e due!? Ma non posso, ti ho detto che avresti dovuto avvisarmi, per quell ’altro! -
- Ma io, il furgone, ce l’ho solo per oggi! Solo per oggi, capisci? Dopo non potrò più,
mai più! -
- Dai, non essere così definitiva... -
Definitivo. Mi piace. Penso che dovrei cominciare ad usarlo più spesso, quest ’aggettivo.
Continuo a ripetermelo, pronunciandolo internamente: DE-FI-NI-TI-VO. Bello. E’ efficace, fluido; le sillabe scorrono fuori che è un piacere. Definitivo.
Fa molto “minimalista”.
Intanto Antonella sta continuando a parlare; “rientro” in quello che mi sta dicendo, anche se lo so già: mi ripete le stesse cose da oltre dieci minuti, ormai.
- Ma perché sei così definitiva? - le ripeto solo per assaporarne ancora il suono.
Sono soddisfatto; ormai non seguo più la conversazione, penso a come l’aver usato un termine così delizioso possa avermi, di colpo, risollevato il morale.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Richiamo Marina.
Lei riprende a parlare come se non si fosse mai interrotta; semplicemente PROSEGUE:
- ... cazzo, è saltata la lampadina! -
- Che lampadina? -
- ... mi capita sempre così, ci credi? Da un momento all’altro TUMP! e le lampadine si fulminano; è successa la stessa cosa con quella dei faretti... questa però la ricompro... -
- Cosa vuol dire, che sei... -
- ... al buio. Sono completamente al buio, ormai. Senti, non è che ti trovi a passare da un elettricista? -
- No! - E riaggancio con violenza.
Scuoto la testa: non è possibile...non è possibile...
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Richiamo papà:
- Ciao. -
- Oh, ciao. Allora: è per Lunedì, alle nove. -
- Va bene. -
- Mi raccomando, è un mio caro amico e non dovrebbero esserci problemi; comunque, anche se è un colloquio informale, tu fatti vedere sveglio e volonteroso. -
SVEGLIO e VOLENTEROSO
- Ho capito, ma ti ha detto, in qualche modo, che dopo... -
- Non preoccuparti: fai un po' di pratica e poi ti assume, regolarmente.
Mi raccomando, sii puntuale. Questa è un’occasione da non perdere. -
- O.K. Ciao. -
Carlos Castaneda

Il 19 Giugno del 1998 è stata annunciata la morte di Carlos Castaneda. Il mito diventa, così, leggenda.
Difficile inquadrare il personaggio, impossibile definire lo scrittore.
Un imbonitore, un antropologo sui generis, un ciarlatano, uno sciamano, un grande scrittore….l’hanno etichettato in mille modi.
La realtà è che troppo pochi hanno letto i suoi libri con un minimo di distacco. Impresa difficilissima, peraltro. Io stesso, dopo aver letto”Viaggio a Ixtlan”, stavo per partire alla volta del Messico.
Osteggiato e spesso disprezzato dalla “casta” dell’antropologia mondiale, quella “seria”, quella “scientifica”, quella che conta, Castaneda ha avuto un successo di pubblico enorme, soprattutto negli anni ’70, quando gli allucinogeni erano usati come mezzo per approfondire “conoscenza” e “consapevolezza”.
Inizialmente, il giovane antropologo dell’università della California, parte per il Messico per raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indio Yaqui. Durante uno di questi viaggi incontra Don Juan, stregone, “brujo”, “uomo di conoscenza”, molto preparato su ogni tipo di pianta, soprattutto il pejote. Un incontro che sconvolgerà letteralmente l’esistenza di Carlos.
Castaneda diventerà l’apprendista di don Juan e farà esperienze inimmaginabili, gli si aprirà un vero e proprio universo parallelo dove i consueti riferimenti logico-cognitivi semplicemente non avranno più senso.
Solo in pochi hanno avuto il buon senso di “leggere” l’opera di Castaneda come una grande ALLEGORIA.
“Vivere come un guerriero” è un modo di porsi, un atteggiamento verso la vita, verso il quotidiano. Essere sempre “consapevoli” e “pronti” in ogni momento di questa nostra insondabile e incerta esistenza è semplicemente l’unica cosa saggia da fare.
Con uno stile semplice e concreto, Castaneda ci trascina in un mondo fantastico e terrificante……MAGICO.
I suoi detrattori sono stati tanti (come da copione).
Insigni studiosi che hanno totalmente trascurato un fattore poco trascurabile: il linguaggio.
Il linguaggio “costruisce” il mondo e determina le strutture logico-cognitive con le quali noi lo percepiamo.
Castaneda, da ottimo antropologo, è entrato TOTALMENTE nel mondo degli stregoni Yaqui, cercando di afferrarne la logica interna, lontanissima dalla nostra e difficile da comprendere…per lo meno con i normali mezzi percettivi.
La nostra cultura e il nostro linguaggio rendono difficile accettare come “reali” le esperienze raccontate nei diari-romanzi dell’ Autore, ma lo stesso termine “reale” ha valenze molto differenti a seconda della cultura in cui è usato.
In questi ultimi anni il movimento “New Age” sta generando molta confusione. Con “New Age” spesso intendiamo un gran calderone che contiene discipline diversissime tra loro, dallo Yoga alla floriterapia, dallo Zen allo shatsu e chi più ne ha più ne metta.
“A scuola dallo stregone” è uscito nel 1968, ventisei anni prima de: ”La profezia di Celestino”.
“E’ stato affermato che l’Occidente non ha mai prodotto nessuna via di conoscenza spirituale paragonabile al grande sistema dell’Oriente, ed è per questo che i libri di Castaneda hanno il valore di una vera e propria rivelazione.”
La Rizzoli ha ripubblicato tutta l’opera. Cominciate dall’inizio:
“A scuola dallo stregone”; “Una realtà separata”; “Viaggio a Ixtlan”
Difficile inquadrare il personaggio, impossibile definire lo scrittore.
Un imbonitore, un antropologo sui generis, un ciarlatano, uno sciamano, un grande scrittore….l’hanno etichettato in mille modi.
La realtà è che troppo pochi hanno letto i suoi libri con un minimo di distacco. Impresa difficilissima, peraltro. Io stesso, dopo aver letto”Viaggio a Ixtlan”, stavo per partire alla volta del Messico.
Osteggiato e spesso disprezzato dalla “casta” dell’antropologia mondiale, quella “seria”, quella “scientifica”, quella che conta, Castaneda ha avuto un successo di pubblico enorme, soprattutto negli anni ’70, quando gli allucinogeni erano usati come mezzo per approfondire “conoscenza” e “consapevolezza”.
Inizialmente, il giovane antropologo dell’università della California, parte per il Messico per raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indio Yaqui. Durante uno di questi viaggi incontra Don Juan, stregone, “brujo”, “uomo di conoscenza”, molto preparato su ogni tipo di pianta, soprattutto il pejote. Un incontro che sconvolgerà letteralmente l’esistenza di Carlos.
Castaneda diventerà l’apprendista di don Juan e farà esperienze inimmaginabili, gli si aprirà un vero e proprio universo parallelo dove i consueti riferimenti logico-cognitivi semplicemente non avranno più senso.
Solo in pochi hanno avuto il buon senso di “leggere” l’opera di Castaneda come una grande ALLEGORIA.
“Vivere come un guerriero” è un modo di porsi, un atteggiamento verso la vita, verso il quotidiano. Essere sempre “consapevoli” e “pronti” in ogni momento di questa nostra insondabile e incerta esistenza è semplicemente l’unica cosa saggia da fare.
Con uno stile semplice e concreto, Castaneda ci trascina in un mondo fantastico e terrificante……MAGICO.
I suoi detrattori sono stati tanti (come da copione).
Insigni studiosi che hanno totalmente trascurato un fattore poco trascurabile: il linguaggio.
Il linguaggio “costruisce” il mondo e determina le strutture logico-cognitive con le quali noi lo percepiamo.
Castaneda, da ottimo antropologo, è entrato TOTALMENTE nel mondo degli stregoni Yaqui, cercando di afferrarne la logica interna, lontanissima dalla nostra e difficile da comprendere…per lo meno con i normali mezzi percettivi.
La nostra cultura e il nostro linguaggio rendono difficile accettare come “reali” le esperienze raccontate nei diari-romanzi dell’ Autore, ma lo stesso termine “reale” ha valenze molto differenti a seconda della cultura in cui è usato.
In questi ultimi anni il movimento “New Age” sta generando molta confusione. Con “New Age” spesso intendiamo un gran calderone che contiene discipline diversissime tra loro, dallo Yoga alla floriterapia, dallo Zen allo shatsu e chi più ne ha più ne metta.
“A scuola dallo stregone” è uscito nel 1968, ventisei anni prima de: ”La profezia di Celestino”.
“E’ stato affermato che l’Occidente non ha mai prodotto nessuna via di conoscenza spirituale paragonabile al grande sistema dell’Oriente, ed è per questo che i libri di Castaneda hanno il valore di una vera e propria rivelazione.”
La Rizzoli ha ripubblicato tutta l’opera. Cominciate dall’inizio:
“A scuola dallo stregone”; “Una realtà separata”; “Viaggio a Ixtlan”
passi falsi

Allo sbando.
Il sole ruminò l’orizzonte.
La luna tergiversò.
Il gatto saltò. Rotolò. Ronfò.
Il sorriso ruppe le labbra.
L’ironia inventò la sera.
Lo specchio indagò. Interrogò. Indugiò.
Il pomeriggio diluì entusiasmi.
La “dinamo” mortificò prospettive.
La sveglia suonò. Pazientò. S’indignò.
La noia sorprese i minuti,
l’universo immalinconì.
Il sole ruminò l’orizzonte.
La luna tergiversò.
Il gatto saltò. Rotolò. Ronfò.
Il sorriso ruppe le labbra.
L’ironia inventò la sera.
Lo specchio indagò. Interrogò. Indugiò.
Il pomeriggio diluì entusiasmi.
La “dinamo” mortificò prospettive.
La sveglia suonò. Pazientò. S’indignò.
La noia sorprese i minuti,
l’universo immalinconì.
apocalittici e assonnati
Apocalittici e assonnati
Il suono petulante del citofono irrompe, ottuso, nel sogno, dileguandolo.
Imprecando mi alzo dal letto e vado a rispondere.
- Buon giorno, il signor Felici? - Il tono è forzatamente gioviale.
- Si. -
- Bene. Buongiorno, il mio nome è Rossano. -
ROSSANO?!
- Si.- Non so se ridere o piangere.
- Senta, avremo piacere di parlare un po’ con lei. -
- Parlare.... -
- Si, ma non vorremmo disturbarla, forse ha da fare. -
- Dormivo. - Sono le otto di Domenica.
- Oh, mi scusi per il disturbo, però potrebbe concederci dieci minuti per dirci cosa ne pensa della guerra delle malattie della delinquenza della droga dell’ambiente e se crede che dobbiamo rassegnarci oppure ha fiducia in una vita diversa... -
08.00 di Domenica e ROSSANO vuol sapere se ho fiducia in una vita diversa
- Si, insomma, lei crede che possa esserci una possibilità di salvezza per l’uomo, che possa essere felice? -
Potreste cominciare voi, evitando di rompere i coglioni al prossimo specie a quest’ora del mattino!
- Ascolta, Rossano, io stavo dormendo. -
- Ho capito e sono mortificato, ma non potrebbe dirmi se esiste, secondo lei, una possibilità di salvezza... -
- Sto cercando di dirti che non sono abbastanza lucido per affrontare l’argomento.-
- Beh, magari ripassiamo tra qualche giorno... -
- Si. Addio. - Torno a letto.
Ale sbadiglia:
- Chi era? -
- Rossano. -
- Chi? -
- Te l’ho detto: ROSSANO! -
- E chi è Rossano?! -
- Cosa vuoi che ne sappia... -
- Ma insomma, chi era? Che voleva? -
- Una POSSIBILITÀ’ DI SALVEZZA. -
- Cosa? -
- Lascia stare; dormi. -
Il suono petulante del citofono irrompe, ottuso, nel sogno, dileguandolo.
Imprecando mi alzo dal letto e vado a rispondere.
- Buon giorno, il signor Felici? - Il tono è forzatamente gioviale.
- Si. -
- Bene. Buongiorno, il mio nome è Rossano. -
ROSSANO?!
- Si.- Non so se ridere o piangere.
- Senta, avremo piacere di parlare un po’ con lei. -
- Parlare.... -
- Si, ma non vorremmo disturbarla, forse ha da fare. -
- Dormivo. - Sono le otto di Domenica.
- Oh, mi scusi per il disturbo, però potrebbe concederci dieci minuti per dirci cosa ne pensa della guerra delle malattie della delinquenza della droga dell’ambiente e se crede che dobbiamo rassegnarci oppure ha fiducia in una vita diversa... -
08.00 di Domenica e ROSSANO vuol sapere se ho fiducia in una vita diversa
- Si, insomma, lei crede che possa esserci una possibilità di salvezza per l’uomo, che possa essere felice? -
Potreste cominciare voi, evitando di rompere i coglioni al prossimo specie a quest’ora del mattino!
- Ascolta, Rossano, io stavo dormendo. -
- Ho capito e sono mortificato, ma non potrebbe dirmi se esiste, secondo lei, una possibilità di salvezza... -
- Sto cercando di dirti che non sono abbastanza lucido per affrontare l’argomento.-
- Beh, magari ripassiamo tra qualche giorno... -
- Si. Addio. - Torno a letto.
Ale sbadiglia:
- Chi era? -
- Rossano. -
- Chi? -
- Te l’ho detto: ROSSANO! -
- E chi è Rossano?! -
- Cosa vuoi che ne sappia... -
- Ma insomma, chi era? Che voleva? -
- Una POSSIBILITÀ’ DI SALVEZZA. -
- Cosa? -
- Lascia stare; dormi. -
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